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Prestiti linguistici e contaminazioni

27 Settembre 2022

Arturo Del Peschio incontra la

Prof. Benedetta Miracolo

Docente di lingua e letteratura inglese

Era molto tempo che non vedevo la mia amica Benedetta; ella ancora volteggiava nelle aule ove seminava “To be or not to be”; riconosciutala tra i passanti, raggiuntala e salutata, l’ho invitata a sederci in un bar per scambiarci gli aggiornamenti sulle rispettive vite che andavamo conducendo e allorquando seduti ci è stata rivolta la domanda “cosa prendete?”, considerato che l’ora era quella giusta, l’ho anticipata dicendo “un caffè per me ed un tea con biscotti “for the lady”. Dalla sua divertita protesta e dal suo contrordine al barista in “caffè macchiato”, ho intavolato con lei un discorso che, da tempo, mi girovagava in mente: quello relativo alla contaminazione della lingua italiana da parte delle espressioni in lingua inglese.

Pertanto le ho chiesto:

 – “Scusa, ma, conoscendo la tua aderenza anche alla lingua italiana, non pensi che questi frequentissimi inglesismi la possano deturpare?”     

Si è data qualche attimo per raccogliersi e poi, attingendo alla sua professionalità, mi ha detto:

 “Tutte le lingue sono soggette, nel corso del tempo, ad evoluzioni a causa del mutamento delle strutture economiche, sociali e politiche della popolazione e per effetto delle contaminazioni di altri idiomi; quest’ultime inducono talvolta alla disperazione i puristi, che invocano le necessarie epurazioni.  In effetti la presenza di parole straniere nell’italiano è oggetto di studio dei linguisti che analizzano prevalentemente l’incidenza dei forestierismi nei dizionari e nel lessico comune di una lingua”.

Sai, ho proseguito, “a me pare come se solo l’Italiano fosse vulnerabile a queste infiltrazioni… sbaglio?”

“ L’italiano, oltre ad essere una lingua parlata da 65 milioni di persone nell’Unione Europea, è la seconda lingua di 15 milioni di persone. Infatti, oltre ad essere l’idioma nazionale dell’Italia, è una delle lingue ufficiali di Svizzera, San Marino, Città del Vaticano ed Istria, ed è parlato da oltre 85 milioni di persone a livello globale. I primi testi scritti in vernacolare, che assomigliano a quella che oggi riconosciamo come la lingua italiana, risalgono agli anni 960 -963 e sono noti come Placiti Cassinesi. Tuttavia, oggi la lingua italiana presenta un lessico che lascia ampio spazio all’uso di abbreviazioni e vocaboli stranieri.”

“La mia sensazione è che queste contaminazioni si notino da tempi molto recenti”

“A dire il vero, con particolare riguardo agli anglicismi, il loro uso si diffuse, in particolare, a partire dal secondo dopoguerra, come conseguenza della presenza anglo-americana in Italia.

Sebbene esistano delle parole straniere che sembrano far parte del linguaggio italiano corrente da sempre, come weekend e computer e molte altre, solo alcune di esse sono state introdotte negli ultimi tempi, ma va detto che ciò si verifica per tante altre lingue; dal cinese, ad esempio, provengono le parole che vengono utilizzate correntemente come ketchup, chopsticks e feng shui; recentemente, invece, è diventato abituale inserire nei discorsi le parole smartworking, lockdown, spillover, termo-scanner, termini che sono entrati a far parte del lessico quotidiano.

ma, a tuo giudizio, perché pensi che vi sia questo “costume”?   “Nota che nei settori commerciali e nel cosiddetto marketing, si parla di gap invece di “divario” e questo dà una certa “soddisfazione”, un “appagamento”,  una “promozione” della propria immagine; In questo modo le lingue si mescolano, si trasformano e rendono dinamica la comunicazione … ma, il limite è quello di non avere, in alcuni casi, la giusta competenza della lingua straniera e, dunque, di non conoscere l’effettivo significato delle parole che “si prendono in prestito” da altri idiomi”.

Però, oltre ai settori “tecnici”, questa “mania” investe anche la letteratura…”

Purtroppo, non ostante che la lingua italiana risulti essere molto interessante sotto il profilo storico e culturale, il lessico presenta una molteplicità di vocaboli nelle varie forme semantiche ed ogni termine, a seconda del contesto verbale nel quale si inserisce, presenta diverse sfumature di significato… ciò non pertanto, come precedentemente accennato, è invalso l’uso di includere – nelle conversazioni – parole derivanti dall’inglese, soprattutto per dare un’aura di preziosità al proprio discorso; in effetti molte persone parlano includendo forestierismi, pur non conoscendone adeguatamente il significato, non per una reale esigenza ma per rendere più stimolante ed accattivante un’argomentazione”.

“Mi dici, quindi, che è un male necessario…?”

 “Come dichiara De Mauro: “abbiamo letteralmente bisogno del multilinguismo per riuscire a gestire la complessità del presente”. Lo conferma anche l’ultima edizione del vocabolario Treccani 2022, in cui sono state inserite, tra i neologismi, alcune parole straniere di uso comune come leader.

Mi rattrista quello che  dici, ma guardandomi intorno, so che è vero… “Allora, voglio “avvilirti” ancora un po’: uno dei settori in cui l’uso dei termini inglesi dilaga, anche come conseguenza della comunicazione attraverso i social network, è quello della moda. Fashion, outfit, mood, inspiration, oversize, e style sono solo alcuni dei vocaboli inglesi che comunemente si utilizzano anche quando, entrando in un negozio di abbigliamento, si vuole acquistare un capo trendy! In effetti è consuetudine indicare con i termini small, medium, large ed extra large le taglie degli indumenti. Tutto, o quasi, ci sembra spesso meccanico… ma, anche io mi chiedo se non sia eccessivo”

Da quello che mi dici posso dedurre che sarà sempre più “un’invasione”.

“Ma anche la lingua inglese ha adottato per secoli prestiti linguistici; il ricorso ad essi è una prassi consolidata ed, in effetti, spesso i vocaboli si sono fatti strada nella lingua grazie alla loro frequenza d’uso, riuscendo ad imporsi e ad entrare a far parte del vocabolario comune. L’inglese si attesta, però, come “donatore” di termini piuttosto che come “ricevente”, rivestendo il ruolo di lingua veicolare internazionale. Una domanda è di conseguenza lecita: le future scoperte tecnologiche e scientifiche e le nuove forme di comunicazione legate al web, confermeranno o modificheranno radicalmente questa tendenza? Solo l’osservazione e lo studio continuo della lingua sapranno fornire una risposta esauriente a questo interessante e alquanto complesso quesito”.

“Uno dei risvolti a cui penso con preoccupazione è quello culturale, ma questo mio timore vale per tutte le culture.”

“Si, questo è un altro tema che suscita l’interesse e l’opinione dei linguisti e dei madrelingua, quello dell’ibridazione tra lingue diverse come, ad esempio, l’Itanglese, lo spanglish e il denglish; questo fenomeno, secondo alcuni studiosi, non può essere limitato a una visione puramente linguistica, ma va collocato in una molteplicità di relazioni sotto il profilo socioculturale, politico ed economico tra una Nazione e il mondo anglosassone. Nell’itanglese si ritrova un ricorso frequente – ed arbitrario – a vocaboli o espressioni inglesizzate. A tal proposito l’esperta di comunicazione Annamaria Testa sostiene che “conoscere le lingue straniere è meraviglioso” e non mette in discussione i prestiti di necessità come mouse, tram e toast, per i quali non c’è bisogno di ricorrere alla traduzione in italiano, ma la considera una questione di misura; infatti afferma che “una parola inglese all’interno di un discorso in buon italiano non fa male a nessuno, ma dire – facciamo ASAP un meeting per il fine tuning del client service – non risulta più comodo e preciso che dire facciamo al più presto una riunione per mettere  a punto il servizio clienti”. L’esperta afferma che non si risparmierebbe tempo con l’itanglese; attraverso una prova spanno-metrica con il cronometro risulterebbe chiara una differenza di pochi millesimi di secondo (4,17 s la riunione contro i 4,48 s del meeting). In conclusione, i modelli linguistici dell’inglese , sia nella morfologia sia nella struttura, hanno contribuito a rendere la lingua italiana più dinamica e moderna. Gli anglicismi, anche nelle forme abbreviate, possono essere utili a rendere un discorso efficace e comprensibile, nonché interessante, anche ad un pubblico multilingue.

“Il tuo “in conclusione”, mi fa capire che dobbiamo chiudere questa conversazione, d’altronde, sia tu che io credo siamo chiamati ad altro; è stato molto istruttivo parlare con te, ma per le questioni personali dovremo aggiornarci ad un altro incontro … “Chiedo scusa”, rivolgendomi al barista, “posso avere il conto?”.

 Pago e lascio una mancia; il cameriere la preleva e mi dice: “thank you” , ma subito lo apostrofo:

“a morè, a ridamme stì cinqu’euri!

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