Attualità

THE WORKER’s EDGE – POST PANDEMIA 2022 – allarme lavoro da remoto.

11 Febbraio 2022

di Alessandro Sposato.

Eccoci a parlare del lavoro da remoto, sarà un lungo viaggio e lo faremo  iniziando dal quadro normativo presente in Italia.

Lo smart working o lavoro agile nell’ordinamento italiano è regolato dalla Legge 81/2017 che, nel garantire parità di trattamento economico e normativo tra lavoratori “agili” e quelli “ordinari”, indica nel lavoro agile uno strumento di incremento della produttività e di miglioramento della conciliazione vita-lavoro.

Lo stesso è infatti definito come “modalità” di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

A questo scenario si va ad aggiungere il “Protocollo lavoro agile” firmato il 7 dicembre 2021, tra governo e parti sociali che, pur lasciando al lavoratore la possibilità di accedere volontariamente al lavoro da remoto, delega al sindacato la contrattazione collettiva di specie che in sé non è affatto un male, almeno nelle intenzioni, a meno che si intenda non partecipare alle trattative per poi lamentarsi ricorrendo in Giudizi che arricchiscono gli avvocati e rischiano di impoverire i lavoratori.

Certo è che il lavoro agile passa dalle mani del lavoratore, alla regia dei sindacati: da lavoro agile a smart working un po’ ingessato.

L’adesione allo smart working resterà volontaria, impunibile disciplinarmente e subordinata alla sottoscrizione di un accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore; con la delega al sindacato si avranno inevitabilmente sempre minori possibilità di “regolamentarsi” la modalità agile, ma nel contempo, maggiore potere di negoziazione contrattuale di settore. Potere che andrà speso bene e sul quale  il lavoratore dovrà vigilare.

Assisteremo, probabilmente, a stretto giro, al cambio di rotta  atteso dalle parti firmatarie del protocollo così che lo smart working non sarà più disciplinato solo da un accordo individuale, ma soprattutto dal CCNL.

Leggendo il protocollo non si può che convenire nel riscontrare lo sforzo di conservazione dei diritti e delle tutele mutuati dai vari contratti nazionali; da attenzionare immediatamente, però, la ridotta socializzazione o anche solo la difficoltà di confrontarsi tra colleghi che potrebbe determinare una  gestione discriminante e occulta dei lavoratori.

Altresì, mi piace sottolineare come nell’impianto dell’accordo, contemporaneamente, sia stata inserita una sensibilità a riguardo della sostenibilità ambientale tanto cara a tutti noi che aneliamo lasciare un mondo più pulito e sano, ma, del tema “sindacalismo climatico-ambientale”, tratterò in un altro articolo dedicato.

Dopo aver cercato di dare un’infarinatura relativa al contesto normativo, ora spostiamo l’attenzione all’interno di quello storico:

a seguito delle limitazioni imposte per il contenimento della pandemia, si è reso necessario abbattere il muro della resistenza aziendale verso la remotizzazione del lavoro, aprendo così questa modalità ad oltre 5,3 milioni di lavoratori, cosa che ha evidenziato la necessità di una verifica del concetto stesso di lavoro agile al fine di tutelare tutte le parti (protocollo lavoro agile 7 dicembre 2021).

Costretti ad abbandonare il controllo a vista del lavoratore, usato dalla notte dei tempi, anche, per creare un clima di subordinazione e considerato che  gli attuali modelli di management nella grande maggioranza dei casi non sono pronti a condurre il lavoro attraverso lo smart working, le aziende si sono dovute arrendere con riluttanza alle imposizioni “pandemiche” dei vari governi salvo poi ritrovarsi sgomenti con i trend di produttività in crescita.

La considerazione sindacale che devo fare, ma che non voglio qui trattare, è quella relativa alle aziende che hanno investito in controlli e controllori della classe lavoratrice per secoli, passando dalle fruste alle videosorveglianze fino al contapassi per poi constatare, basiti, che dando fiducia al lavoratore si è ottenuto rispetto e produttività; bene: è da qua che si dovrebbe partire per parlare di lavoro da remoto, ovvero, partire da un concetto di civiltà 2.0.

La situazione dei contratti di lavoro in Italia, purtroppo, è grottesca quanto pericolosa oltre ad essere mortificante verso la categoria dei lavoratori: 1404 morti bianche, 933 c.c.nl..

Con queste premesse, ora che sarà necessario creare nuovi contratti di lavoro da remoto, con i soliti attori, cosa mai potrà succedere? Ancora una volta saremo spettatori di un’ennesima proliferazione di

contratti che colpiranno salari e tutele? D’obbligo, come premesso, sarà vigilanza e consapevolezza.

Ritengo, quindi che le fattispecie da contrattualizzare, oltre ad avere la loro naturale differenziazione per settore, varieranno tra loro anche in funzione alla quantità di lavoro remotizzata che si accetterà; facilmente immaginabili sono quindi le offerte di lavoro da remoto che potranno variare dal 100% della prestazione fino alle più basse percentuali, ma nulla di più.

La strada maestra per la contrattazione, per portare benefici ad entrambe le parti coinvolte, deve passare almeno dal riconoscimento, attraverso vari istituti salariali, del disagio e dei costi di produzione della prestazione lavorativa a carico del lavoratore in quanto l’allontanamento forzato dalle aziende, a causa dei focolai di Covid-19, ha spinto le stesse ad abbracciare, più o meno entusiasticamente, le opportunità offerte dalla digitalizzazione chiudendo le sedi e chiudendo a casa i lavoratori, delegando proprio a quest’ultimi la responsabilità dei costi di gestione e della predisposizione dell’ambiente di lavoro traendone un innegabile guadagno ed una evidente cessione di salario che, sottolineo, non può accettarsi.

Le aziende ricorrendo al lavoro remotizzato hanno incrementato la produttività e questo un sindacalista deve valorizzarlo a favore dei lavoratori.

Affrontati i temi giuridici e di contingenza, cerchiamo ora di mettere a fuoco qualche punto che possa mettere in luce come ha impattato il lavoro da remoto su azienda e lavoratori

Evidenziamo quindi, per sommi capi, i vantaggi delle due parti future contraenti del contratto.

Per l’Azienda i vantaggi sono:

● aumento produttività;

● riduzione spesa per la sicurezza del personale in sede;

● riduzione dei costi di gestione degli immobili destinati ai

lavoratori, (parliamo di condizionamento termico e qualità dell’aria,

connettività, usura arredi, conferimento e smaltimento rifiuti, consumo energia elettrica , consumo d’acqua, spese di vigilanza, manutenzione ascensori, allestimento mense, per citarne alcune);

● riduzione della resilienza sindacale dovuta all’isolamento del

lavoratore;

● riduzione di malattie e infortuni, ma anche altro meno “visibile” a questa analisi.

Per contro, è doveroso sforzarsi nella ricerca di qualche svantaggio:

● perdita del controllo “a vista” del dipendente;

● perdita della leva psicologica coercitiva che l ‘azienda probabilmente immagina di avere quando si materializza un capo di fronte un lavoratore, ma se da remoto un lavoratore produce di più… forse questo punto è da annoverare tra i vantaggi legati alla diminuzione di cause per mobbing.

Per i lavoratori i vantaggi sono:

  • miglior bilanciamento vita privata lavoro per effetto della riduzione dei tempi di spostamento e di traffico, con minori emissioni di CO2.
  • Possibilità di ridurre le spese per il raggiungimento del luogo di lavoro.

Per contro, però, dobbiamo altresì elencare:

  • coinvolgimento tra colleghi deteriorato;
  • isolamento professionale;
  • over working (quello che abbiamo visto generare l’impatto positivo sull’aumento della produttività aziendale);
  • tecno-stress dovuto all’ aumento delle aspettative e dell’uso di hardware software aziendali e sistemi di comunicazione;
  • perdita della socialità con conseguente smembramento del gruppo e della solidarietà tra lavoratori;
  • responsabilità e cura del luogo di lavoro;
  • aumento dei costi da sostenere (gli stessi elencati perché risparmiati dall’azienda);
  • Spazio professionale che viene sottratto alla disponibilità della casa;
  • i costi dei pasti, usura arredi, rifiuti, carta, toner, stampanti, sicurezza sul lavoro
  • aumento fattori di rischio per la salute dovuti all’approccio amatoriale della creazione del luogo di lavoro del quale sostiene le spese.
  • assuefazione al lavoro domiciliare con relativo svilimento della cura della persona.

Ora, con questi dati, ci va del coraggio a proporre ai futuri lavoratori remotizzati un taglio del salario come fatto da Google in America.

Ma state all’erta! Indagini sul mondo del lavoro remotizzato, commissionate con specifiche e comode attese dalle aziende, sono già state pubblicate.

Ora vi chiedo: se le aziende avessero riscontrato valori diversi da quanto rilevato in questo documento, avrebbero permesso comunque ai lavoratori di operare da casa?  Inoltre, avrebbero approfittato dello stato emergenziale per ristrutturare i luoghi di lavoro con la prospettiva di una capienza ridimensionata in funzione della previsione di adesione allo smart working?

Gatta ci cova!  …Ma, ccà nisciun’è fesso!

Attenzione quindi quando vi diranno che con il lavoro da remoto il lavoratore risparmia il denaro necessario allo spostamento. Dietro la possibilità che questa affermazione possa anche essere vera, si può nascondere l’esatto contrario: il lavoratore che non ha più a disposizione una sede, non è detto che possa utilizzare il proprio domicilio, potrebbe necessariamente doverne trovare un’altra, pagarla, vestirsi, spendere tempo e denaro per raggiungerla, d’altro canto, laddove il lavoratore preferisse utilizzare parte dalla propria casa dovrà inevitabilmente sostenere i costi di adeguamento alle necessità della prestazione da offrire; diciamo che nulla è da darsi per scontato.

Può essere utile fare un accenno di economia di base:

se il prezzo di un prodotto finito è la sommatoria tra il guadagno atteso e i costi di produzione, tra i costi di produzione c’è sicuramente quello del lavoro che è oggetto di un costante tentativo di erosione, nonché, tutti i costi gestionali dei quali ho accennato in precedenza; con il lavoro da remoto i costi gestionali vengono sensibilmente ridotti e di conseguenza il guadagno sul prodotto finito aumenta altrettanto sensibilmente, quindi, le aziende dovrebbero incentivare con maggiore salario questa nuova forma di lavoro e condividere parte del maggior utile con i lavoratori: questa deve essere l’occasione per ritoccare verso l’alto, FINALMENTE,  il salario dei lavoratori.

Non ci sarà una seconda occasione!

Siamo esseri umani che, in quanto tali, ambiscono alla socialità come mezzo di autodeterminazione: come impatterà nelle nostre vite rendere la propria casa promiscua verso azioni ed attività che avrebbero dovuto non incrociarsi?

Si rischia purtroppo di varcare quella soglia, quel confine che ogni uomo dovrebbe invece proteggere da qualsiasi attacco: il proprio rifugio, la propria dimora.

Come vivremo questa nuova situazione sminuente i rapporti sociali che rinchiuderà buona parte dei lavoratori in loculi domestici ?

Non vorremmo andare a spendere i maggiori guadagni in psicologi o avvocati di diritto familiare.

Come leggendo vi sarete resi conto, la situazione dei contratti da remoto merita sicuramente molta attenzione e l’approfondimento di tematiche sociali, economiche e psicologiche, oltre al massimo impegno delle parti sociali a sedersi in maniera proattiva al tavolo delle trattative.

Nei prossimi mesi verranno gettate le basi per gli inserimenti nei CCNL di queste nuove tipologie di lavoro che avranno un inerzia inarrestabile.

Il lavoro fatto dai sindacati verrà esposto all’analisi dei lavoratori.

Ricordatevi che l’ultima parola spetta al lavoratore e che nelle assemblee si può, opponendosi in maniera democratica, rispedire al mittente una proposta di contratto non soddisfacente affinché venga riformulata.

Dobbiamo essere consapevoli e critici.

La responsabilità sarà , alla fine, solo nostra!

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