Attualità

SALUS ROMANORUM

7 Marzo 2020

di Arturo del Peschio

In questi giorni, sui forum della rete digitale, impazzano simpatici consigli per poter tenere attivi i gesti di saluto e socialità senza incorrere né nel rischio di contagio né nei divieti finalizzati a limitare comportamenti, che pongono a repentaglio la pubblica salute. Si passa dal “tocco con il piede”, al “tocco tra gomiti”; dall’”inchino”, alle “mani giunte”; dal “pugno mano destro in appoggio al palmo aperto meno sinistra”, all’”auto stretta di mano”. 

                Questa simpatica rassegna pesca, con grande sagacia, nelle più disparate culture, sia occidentali, sia orientali, ma si guarda bene dal visitare le radici italiche che sono connaturate alla natura antropologica degli Italiani. Basterebbe rifarsi con grande dignità al saluto in auge nell’antico Impero romano. Certo, esso ebbe anche fortuna nel periodo storico che vide il dilagare del regime Fascista, ma questo, attesta ancor più quanto esso sia un saluto che appartiene alla storia classica del popolo italico.

                Ovviamente, però, vanno precisate alcune cose che fanno capire la reale portata del saluto che, in sé, portatore di simboli ed allegorie, venne poi “adottato” con qualche enfatizzazione, alla fine dell’Ottocento, e con precisa catalogazione nell’inizio Novecento. Nella iconografia della Antica Roma, il braccio sollevato è sì presente, ma, detto gesto, non è rappresentato sempre allo stesso modo, anzi, sarebbe più corretto dire che è sempre diverso, talvolta il braccio è teso con la mano stesa ed il palmo rivolto in basso, talvolta e flesso, talaltre il braccio è aderente al tronco e solo l’avanbraccio sollevato, così come la mano trova molte posizioni che vanno dall’aperta a dita unite a semichiusa con dita semi flesse in modo disomogeneo. Queste variabili sono da addursi al fatto che il gesto, in origine ha avuto molti significati, essendo esso, sia il gesto che i condottieri usavano per richiamare l’attenzione ed il silenzio delle truppe di cui erano al comando, sia per affermare, con l’estensione del braccio che in questo caso per analogia rappresentava lo scettro, il potere sui soldati, ma anche la condivisione della sorte in battaglia, facendo assumere al braccio sollevato il significato del gladio da guerra. Altresì, il palmo rivolto verso le legioni, aveva anche il potere della benedizione e della “trasmissione della forza dell’impero” che il condottiero riassumeva in sé.

Detto gesto, assunse anche un significato di saluto e di pace (in quanto mostrava la mano abile vuota, senza arma), quando le truppe romane entravano in territorio straniero senza che vi fosse opposizione bellica, quindi, quelle genti venivano rassicurate con il gesto della mano aperta e lontana dall’arma posta al fianco. Si ritiene che questo uso del braccio sia alla base dell’adozione del gesto, anche quale rappresentazione semiotica che ritroviamo nell’ architettura e scultura classica. Va detto che il “canone estetico” di dette rappresentazioni plastiche, vuole che la mano sia levata non più degli occhi, ma non meno della cintura.

                Questa precisazione, apparentemente superflua, invece, ci introduce alla descrizione di un saluto, in epoca moderna, codificato nello stesso modo e che è stato in uso negli  Stati Uniti d’America per il saluto alla bandiera (Pledge of Allegiance), creato da  Francis Bellamy nel 1892 e adottato nelle scuole degli Stati Uniti fin verso gli anni 1930; in Italia è adottato per la prima volta,  dai “Legionari fiumani” di G. D’Annunzio, che mostrando nella mano la baionetta d’assalto, levarono la mano ben alta sulla testa, determinando un nuovo canone d’esecuzione che manifestava maggiore carica d’ardore (ed anche veemenza). Con la sua successiva adozione da parte del regime Fascista, quello Nazista, nonché Greco, altresì Spagnolo, esso codificò il legame tra il nazionalismo e le radici classico-imperiali (Impero Romano).                

Per quanto detto, Il significato originario del saluto romano era molteplice, prevalendo quello augurale, con il quale si voleva trasmettere un influsso benefico dal salutante al salutato (la stessa etimologia di “saluto” discende da salutem iuvare, augurare buona salute), ma può essere inteso anche come un gesto di pace per il fatto che si mostra il palmo della mano maestra vuoto e quindi inoffensivo. Nell’Italia fascista, Achille Starace, segretario del P.N.F., promosse una campagna a favore del saluto romano, affinché sostituisse completamente la stretta di mano ritenuta “borghese” e poco igienica, a tal proposito, il poeta romano Trilussa,  compose un sonetto satirico – “La stretta de mano”  – in cui ironizzava sulla scelta igienica del saluto romano che, invece, sosteneva fosse adottato per tenere a distanza le persone.

La stretta de mano

Quella de dà la mano a chicchessia,

nun è certo un’usanza troppo bella:

te pò succede ch’hai da strigne quella

d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.

Deppiù la mano, asciutta o sudarella,

quann’ha toccato quarche porcheria,

contiè er bacillo d’una malatia,

che t’entra in bocca e va ne le budella.

Invece a salutà romanamente,

ce se guadambia un tanto co l’iggiene,

eppoi nun c’è pericolo de gnente.

Perché la mossa te viè a dì in sostanza:

“Semo amiconi … se volemo bene …

ma restamo a ‘na debbita distanza”. Trilussa

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