Attualità

E se un’ Ordinanza Sindacale diventasse terapia?

17 Marzo 2020

di Arturo del Peschio

Nella mia pregressa attività di psicoanalista, per una opportuna considerazione di circostanze derivanti da contemporanee funzioni da me svolte, ho sempre evitato di trattare dipendenze psichiche e/o tossiche, consigliando, al paziente che ne lamentava l’assillo, di rivolgersi a colleghi che fossero a me noti per possedere, per tali problematiche, maggiori attitudini e più vasta esperienza di quanta ne avessi io.

                Ovviamente, la non pratica clinica di detta casistica, non mi impedisce di avere, come per ogni essere umano, una convinzione o meglio un sentimento rispetto a tali drammi dell’individuo, per tanto, quanto andrò ad esporre, non intende essere una trattazione scientifica, ma un contributo offerto a chi legge affinché, alla luce della propria sensibilità, esperienza e conoscenza, mediti ed elabori un pensiero che mi auguro possa essere, prima o poi, una goccia d’acqua nel deserto di un’anima inaridita; la pioggia che può rendere fertile un terreno infecondo, è fatta anch’essa di minutissime gocce, ma tante, …questa è la mia.

                Questo contributo, è scaturito dall’aver appreso che il sindaco di un piccolo comune beneventano, ha concepita un’Ordinanza rivolta alla sua comunità per ridurre ancor più il rischio di contagio rispetto all’epidemia di Covid19 che potrebbe ulteriormente peggiorare anche in ragione di un’altra patologia che annulla ogni prudenza in chi ne è affetto: la ludopatia. Essa non solo espone il giocatore che è indotto dalla sua dipendenza ad uscire di casa per soddisfare la sua esigenza, ma espone chiunque altro incontra ed avvicina, sia se espostosi per lo stesso scopo, sia per altro motivo che lo veda nello stesso pubblico locale, ma, ancor più, espone il gestore dell’esercizio pubblico che è chiamato, perché rientrante quasi sempre nella categoria dei Tabaccai, che ad oggi, sono tenuti, d’obbligo, a garantire il pubblico servizio.

Il sindaco di Bucciano, comune sannitico, l’avv. Mimmo Matera, che ha spesso avuto modo di richiamare l’attenzione della società sui guasti derivanti dalla diffusione della ludopatia, ha colto, ancora una volta l’opportunità di porre alla ribalta un altro attuale risvolto di questa piaga sociale e questo provvedimento

Il suo gesto ha fatto scaturire in me considerazioni capaci di far affiorare una serie di collegamenti alle dinamiche del pensiero, delle emozioni, dell’anima, cioè della psiche; l’elaborazione di esse, ritengo che potrebbero costituire un ciottolo su cui porre il piede per tentare di percorrere una nuova strada meno sdrucciolevole per chi si misura con le quotidiane difficoltà a tenere un equilibrio.

                Vi è nel comune “sentire” la paura, ma essa, nell’ordinario, o è negata o è celata oppure è affrontata e, spesso, vinta. Questa esperienza d’epidemia, vede la paura declinata in sentimento collettivo, cosa che per noi italiani trova qualche precedente (credo una decina in cent’anni a venire), in fatti eclatanti, ma circoscritti (fatta salva la guerra). L’eclatanza di un fenomeno è determinata dalla sua imprevedibilità intrinseca e nella sua realizzazione inattesa e quest’evento epidemico lo è, ma eventi “eclatanti” pregressi, sono stati caratterizzati dall’essere circoscrivibili (geograficamente o per requisiti o altre caratterizzazioni delle cose o persone interessate) e qualcuno poteva anche essere ipotizzabile…

                Per quanto detto, la paura generata da tali eventi eclatanti, è sempre stata “appannaggio” dell’individuo singolo, ovvero, ogni individuo, anche se rientrante “nell’area” di interessamento dell’evento eclatante di volta in volta attivatosi, gestiva la paura derivante da esso in modo autonomo e strettamente dipendente dal proprio bagaglio culturale ed esperenziale. Questo determina, anche nello stesso bacino di persone coinvolte nell’evento, un difforme livello e tipo di risposta ad esso con conseguenti grandi disparità comportamentali.

                In precedenza, ho fatta salva la guerra da questa declaratoria solo per una serie di elementi che sarà utile precisare in quanto, essendo stata, questa pandemia, assimilata alla guerra, può essere opportuno tratteggiarne le differenze, anche perché questa differenziazione, meglio sostiene quanto andrò dicendo sulla paura; l’elemento fondamentale che in termini psicologici differenzia una guerra da una pandemia è che la guerra inizia con una gradualità di deterioramenti relazionali tra i contendenti, ma con immediata consapevolezza dell’attimo in cui cambia lo stato di rischio personale e collettivo, altresì, essa può terminare improvvisamente per decisione congiunta dei belligeranti; una epidemia, invece, è tale quando il danno individuale e collettivo è già in atto ed in essa; è scarsamente agevole la sua gestione trattandosi di un evento “naturale” la cui estinzione non risiede in un atto deliberante, ma, in quanto dipendente dalla natura, è ricco di imponderabili ed ineluttabili scenari.

Questa sintetica e sommaria differenziazione, rende anche diverse le caratteristiche della paura che esse generano, in quanto la prima, violenta e rabbiosa, ma attenuata dalla speranza di una imminente decisione a che si cessi l’atto bellico, la seconda, invece, più angosciante e deprimente per la consapevolezza del “non poter nulla”. Tuttavia, mentre nella paura “umana”, che proviamo nelle guerre e negli eventi terroristici, nelle azioni ostili in genere, si accentua l’individualismo e l’isolamento difensivo del singolo verso chiunque (continuando a sostenere la tensione che nutre una paura cruda ed aggressiva), nella seconda si ha una paura “umanistica”: si fa largo una consapevolezza di fragilità e “dipendenza” da eventi trascendenti la volontà e quindi è sostenuta da una riscoperta dell’elemento intimistico che ricerca e sfocia nella riconduzione del singolo alla Specie di appartenenza. (vedi il fiorire di iniziative di inusuale ricerca di condivisione pubblica).

 Questo accenno alla paura ed a solo due delle sue infinite tipizzazioni possibili, vorrei mi aiutasse ad esprimere meglio il vero concetto di cui intendo esporre (tranquilli, lo farò sinteticamente…):

L’Ordinanza di estensione del divieto alle attività di gioco lecito in esercizi pubblici che il sindaco di Bucciano ha emanata, ha suscitato in me l’idea che questo divieto possa rappresentare una importante opportunità per coloro che sono affetti da ludopatia (probabilmente di modica entità).

La ludopatia, essendo una dipendenza, come tale: viene negata dal suo portatore, quindi, va considerato che la motivazione di tale negazione è sostenuta “anche” dalla paura e che la paura del ludopatico è di tipo “umano”, quindi violenta e rabbiosa. Non escluderei aprioristicamente che le paure, che nella “normalità” sono assoggettate a questa tipologia, al verificarsi di un evento quale è la pandemia in corso, possa “virare” in una paura di tipo ”umanistica” e che, quindi, con l’aiuto di un provvedimento coercitivo non individuale ma collettivo e generalizzato come quello di cui parlo, possa insinuarsi nella psiche del soggetto dipendente, una sorta di desiderio di socializzare il “disagio” e ricercare con maggiore frutto, se non una auto-capacità di revisione e controllo di se, almeno una maggiore disponibilità a ricevere adeguato ausilio nella rimozione dell’alterazione comportamentale.

Questa ipotesi, credo che vada considerata per molti comportamenti umani che abbiamo radicalizzato distorcendoli dalla propria natura; i nostri rapporti interpersonali, le leggi economico-sociali, le convenzioni comportamentali e linguistiche, la scala delle priorità essenziali, ma prima di ogn’altro, la riscoperta dell’essere uomo e delle sue fragilità, in quanto solo in questa consapevolezza può radicarsi la forza che possiamo esprimere, insieme.

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