Mondo

I nuovi Miserabili

12 Giugno 2020

Valerio Paolillo laureando in Sociologia e attento osservatore delle dinamiche politiche e culturali americane ci trasmette alcune considerazioni sul caso Floyd.

di Valerio Paolillo

«Ogni libro verrà riscritto, ogni immagine verrà ridipinta, ogni statua e ogni edificio verrà rinominato, ogni data verrà modificata. E il processo continua giorno dopo giorno e minuto dopo minuto. La storia si è fermata. Nulla esiste tranne il presente senza fine in cui il Partito ha sempre ragione». (George Orwell)

Non c’è che dire, il 2020 continua a volersi distinguere come una delle annate più interessanti della storia recente. In pochi mesi siamo passati dalle tragedie giornaliere causate dalla pandemia Covid-19, che hanno messo in evidenza l’incapacità della maggior parte dei governi del mondo di gestire una crisi di scala globale, a quella che vorrebbe farsi passare per una vera e propria rivoluzione.

La morte di George Floyd, ucciso da quattro agenti della polizia di Minneapolis, è stata la scintilla che ha fatto scoppiare una vera polveriera, i cui fuochi sono visibili ormai da una costa all’altra degli Stati Uniti d’America.

Morto per un motivo stupido: il cassiere da cui aveva comprato delle sigarette ha pensato di essere stato pagato con una banconota falsa. Uno degli agenti che ha partecipato all’arresto ha bloccato Floyd con un ginocchio sul collo per otto minuti, uccidendolo. Comprensibile dunque lo sdegno, i moti di protesta nati in pochi giorni in tutte le più grandi città d’America. Moti che sono sfociati in rivolte e saccheggi. La città di Minneapolis non esiste più: palazzi crollati, negozi saccheggiati. Foto e video di ciò che rimane dopo le proteste sono alienanti.

Sembra che la guerra sia arrivata nel cuore dell’America e che, paradossalmente, a portarcela siao stati gli stessi cittadini americani.

La tensione è altissima e ormai giornalmente sfocia in atti di violenza: motivati dalla cupidigia di chi vede le proteste come una semplice scusa per rubare, o di sfondo razziale a causa di un circo mass mediatico che da oltre 30 anni non fa che dipingere la popolazione afroamericana degli Stati Uniti come le vittime di una vera e propria costante, sistemica caccia da parte delle autorità.

Per le foto ringraziamo Sophia Narwitz, Reporter.

Una vera e propria frenesia che sembra non risparmiare nessuno. Il razzismo, nello specifico quello degli uomini bianchi contro i neri, è sistemico e va sconfitto, in un modo e nell’altro. Se fino ad ora le buone maniere non hanno funzionato è evidentemente arrivato il momento di usare quelle forti. E su questo sfondo si susseguono immagini che vanno dal curioso al francamente imbarazzante.

Nella Carolina del nord un gruppo di poliziotti e civili bianchi ha deciso di baciare e lavare i piedi dei dimostranti neri, cercando forse di mettere in pratica la loro idea di “guarigione”, almeno da un punto di vista spirituale.

A Times Square, New York, dove fino a poco tempo fa l’amministrazione era stata costretta a scavare fosse comuni per le vittime di Covid-19, medici e personale sanitario hanno applaudito e si sono uniti ai dimostranti, asserendo che fosse la cosa più appropriata da fare nonostante la pandemia in corso.

In tutto questo bailamme l’immagine di Floyd risulta completamente distorta: da uomo francamente mediocre, con una fedina penale più lunga di molti, si è trasformato in una figura in odore di santità. Il terzo uomo, dopo Michael Jackson e James Brown, a essere sepolto in una bara placcata in oro dal valore di 25,000 dollari, vero e proprio emblema del tipo di decadenza e di ipocrisia che contribuisce alla sofferenza delle persone come lui.

Il nemico va sconfitto a tutti i costi. Questa guerra a un’idea si combatte in modo emotivo: fatti e statistiche sono considerazioni di secondo piano, da scartare a priori nel momento in cui si scontrano con la sacra moralità di chi combatte questa virtuosa crociata. Talmente virtuosa che tutto l’establishment si è unito nella condanna all’insensata violenza che ha causato la morte di George Floyd, al grido di “Black Lives Matter”(letteralmente “le vite dei neri contano”) movimento dedicato alla lotta al razzismo che i neri subiscono dai bianchi.

Movimento che, almeno in teoria, dovrebbe essere anti establishment il cui simbolo adorna le pagine e i profili social di ogni corporazione Americana e non, grande e piccola. Questi ultimi giorni hanno visto raccolte fondi, donazioni sponsorizzate da grandi firme, cauzioni pagate da celebrità per rimettere in libertà rivoltosi. In un video della CNN un giornalista descrive le dimostrazioni come pacifiche, mentre un palazzo brucia alle sue spalle.

Di recente John Boyega, attore afroamericano salito alla ribalta per il suo ruolo nella trilogia Disney di Star Wars, si è unito ai moti di protesta dichiarando che forse, dopo un’azione così rischiosa non avrebbe più avuto una carriera. Il giorno dopo Disney ha dichiarato il proprio sostegno per l’attore, la stessa Disney che aveva rimosso il suo personaggio dai poster stampati per la Cina… a causa del colore della sua pelle.

Gli atti di contrizione si estendono anche al di fuori degli USA: il primo ministro Canadese e esperto di vacuità politica Justin Trudeau, dando una prova di coraggio senza precedenti, si è unito alla gente scesa in piazza e si è inginocchiato in segno di rispetto, circondato dagli uomini della sua scorta, prendendo parte a una dimostrazione… contro sé stesso.

Insomma, i moti di protesta sono anti establishment, il sistema opprime e soffoca le minoranze etniche su una scala globale e soprattutto siamo sempre stati in guerra con l’Estasia.

Il tema ricorrente sembra dunque essere la contrapposizione tra bianco e nero, una visione che sminuisce e semplifica l’essenza di chi sta da entrambe le parti della barricata, che riduce l’essere umano al colore della sua pelle.

Il concetto di coscienza di classe è stato eroso e soppiantato da quello di semplice identità. Di razza, di genere, qualunque cosa che ci possa distinguere in qualche modo, renderci unici. Un’ideologia che sotto la maschera della tolleranza sembra nascondere un odio viscerale per le culture che la ospitano, che devono essere sradicate costi quel che costi, per essere sostituite da quella che a tutti gli effetti parrebbe essere considerata dai praticanti una vera e propria utopia. Chi non si adegua e aderisce al dogma con tutto sé stesso è un eretico e come tale va messo al bando, o peggio.

La storia stessa, oltre alla propria cultura, va ripudiata e cancellata. Uno dei bersagli delle proteste sono statue e monumenti dedicati a figure confederate, ritenute razziste. Follia che è arrivata anche in Europa, con la deturpazione della statua di Churchill  nella Parliament Square di Londra.

Gli esseri umani vengono dunque semplificati, categorizzati, divisi, apparentemente dimentichi del fatto che un operaio ha più in comune con un suo collega che con una celebrità di Hollywood, indipendentemente dal colore della pelle, o con una corporazione.

C’è chi parla di rivoluzione, glorificando gli eventi attuali e facendo il paragone con quella Francese. A costoro estendiamo l’invito all’analisi della storia, piuttosto che allo sprezzo per quest’ultima, per poter meglio interpretare gli avvenimenti correnti.

La rivoluzione Francese è stata capeggiata da tre facoltosi avvocati: Georges Danton, Jean-Paul Marat e Maximilien Robespierre. Tutti e tre hanno usato il potere ottenuto a scopo di guadagno personale.

Gli eccidi commessi in nome della rivoluzione non hanno fatto altro che aprire la strada all’avventura napoleonica e, in seguito, alla Restaurazione che ha riportato i Borboni sul trono di Francia.

In questi tempi di crisi tenere un occhio che guarda al passato può fornire la chiave di lettura per interpretare eventi attuali. Perché se è banale dire che la storia si ripete non si può negare che, a volte, vogliano farci credere che si sia fermata.

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