Attualità

Soleimani, un iraniano, un patriota, un uomo dalla fede incrollabile.

4 Gennaio 2020

La redazione di Revolvere intervista Adolfo Durazzini sulla morte del generale Soleimani. Durazzini è uno studioso di islamismo e conoscitore profondo della cultura e della civiltà iraniana nonché firma della nostra rivista Revolvere.

Chi era Qasem Soleimani?

Il Maggior Generale Soleimani era principalmente un iraniano, nel senso più nobile del termine. Un patriota convinto, uno degli ultimi rappresentanti della millenaria e gloriosa Storia del suo paese. Soleimani era un uomo di fede incrollabile e irreprensibile nell’azione che dava al suo credo. Da sciita, da veterano della Guardia Rivoluzionaria (Pasdaran), poi diventato Comandante delle truppe di élite dei Pasdaran, i Niru-ye Qods (Battaglioni di Gerusalemme), sentiva l’obbedienza fondata sul martirio di Ali, Hassan e Hussayn e Fatima Zahra. Militarmente, è stato l’asso nella manica dell’intellighenzia di Teheran, uno stratega, che aveva fatto della volontà, dell’abnegazione, e della scaltrezza nei combattimenti, il suo marchio vittorioso dalla Siria all’Iraq.

Che ruolo aveva in Iran e nella guerra antiamericana?

Il suo ruolo ormai tutti lo conosciamo. Era un ufficiale dei Pasdaran, atipico sia nelle tattiche militari che in quelle politico/religiose. Non ci può interessare di chi fosse amico, se di Khamenei o altri, e nemmeno di chi fosse nemico, ma di cosa lo fosse. Occorre conoscere bene la storia dell’Iran rivoluzionario per poter inquadrare bene il suo ruolo, o piuttosto il suo posizionamento etico e dottrinale. Preferisco asserire che in Iran, paese con i suoi problemi interni ed esterni ahinoi ben presenti, Soleimani seppe essere quell’uomo della Provvidenza, quella persona di cui il popolo, quella parte sana e non corrotta, cercava sin dai primi moti dell’Imam Khomeini e dei primi Fedayyin-e-khalq (volontari del popolo), ovvero un esempio da seguire. Come accennavo sopra, Soleimani non aveva nemici e non aveva amici, l’unico vero amico che ebbe era il popolo e Dio. È difficile spiegare oggi ai giovani, ma anche ai vecchi, e questo soprattutto in Occidente, che il Comandante Soleimani era davvero un uomo che credeva nella causa. Uso il termine “causa” e non “sua causa”, apposta per rammentarci che non è morto solo per gli sciiti, tantomeno solo per i cristiani che ha salvato, o gli ebrei di cui già arrivano notizie di come le sue gesta lo fanno quasi simile ad un Ciro il Grande. La causa di Soleimani è tuttora quella di chi vuole e ama la libertà, di chi non si arrende ai soprusi, alla viltà, al brutto, all’omologato, ma sente libero sé stesso da vincoli di ogni tipo, soprattutto quello peggiore: quello monetario, quello che rende povera la gente. Perciò non userei il termine “antiamericano”, è vero che non basta l’aver visto “La vita è bella” per pensare che sia un paese “simpatico”, “intelligente” o quanto meno non egemone. Tuttavia la guerra di Soleimani non era rivolta al popolo americano, ma all’egemonia finanziaria, bellica, e mendace di un certo establishment statunitense, il quale sin dai tempi di Wilson, rimane straniero, e nemico del suo stesso popolo e della sua stessa costituzione.

Per il popolo iraniano la sua morte cosa significa? e politicamente?

Per l’appunto, il popolo iraniano perde un Wal­ī, un vero amico e un vero esempio di rettitudine e di etica. Il Fatā, il cavaliere islamico che era, lo ricopre di quella forza suggestiva già dai primi minuti della sua morte. Le preghiere si sono già innalzate e hanno coperto la notte di un pianto dolce, il pianto dei giusti che non demordono. Quanta rabbia dovrà di nuovo bersi l’Iran e tutte le popolazioni adiacenti che vedono nell’atto atroce occidentale, di nuovo una main-mise del soldo e del globalismo più becero? Politicamente occorre capire che i paradigmi tra sovranismi e globalismi sono ormai già stati sporcati dalle varie osmosi tra i due “ceppi”. Sarebbe meglio evitare ogni etichetta troppo umana e troppo occidentale. Pensiamo che l’elevazione all’Isola dei Beati di Soleimani, sia chiaramente un segno dei tempi. Inoltre, al fine di liberarci da qualsiasi giogo/gioco, il nostro sovranismo, scevro di Campioni locali, dovrà passare necessariamente dalla riscoperta dei valori come preminenti sulla materia condizionata dagli addobbi del carnevale universale, purtroppo di stampo anglo-sassone. I Campioni vanno riconosciuti come tali, e Soleimani, alla pari di tanti altri prima di lui, rimane e rimarrà un Nostro Campione.

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