di Adolfo Durazzini
A nome della stampa libera e nell’ottica di una sempre maggiore forma di giustizia, Revolvere che a nome suo fa della libertà e della giustizia valori propri, apprezza e aggiunge alcune precisazioni circa l’articolo del collega Lorenzo Vita e ai recenti avvenimenti a riguardo della liberazione di Silvia Romano. Mi prendo la responsabilità personale, di rispondere non tanto sulla vicenda in sé, ma sulla pianificazione di un gioco geopolitico che supera il singolo individuo e le chiacchiere da stampa…
L’articolo del collega Vita, presenta un titolo assai forte, come si addice ad una situazione non chiara e che si prolunga in un amore/odio tra Italia e Somalia da quando il Maresciallo Graziani fu ingiustamente attentato nell’Ogaden durante la guerra d’Etiopia del 1935. Ingiustamente colpito da bande somale e ingiustamente imbavagliato dai “badogliani” che accusarono i somali di un attentato mai perpetrato da quest’ultimi, ma dagli italiani stessi. Il caso di Silvia Romano non ci interessa per come si sta svolgendo, tra lo scempio e l’opinione da bar, circa una sua presunta conversione, sull’essere stata manipolata e via dicendo. In effetti, non sappiamo perché fosse lì, non sappiamo per quale motivo e in che modo sia stata rapita. Tuttavia, possiamo conoscere i mandanti e i rapitori con esattezza, farò qui una provocazione che potrebbe costarmi la vita: non sono stati gli Al-Shabaab! Costoro, sono un gruppo islamico vicino ad Al-Qaida e quindi prettamente salafita. Sorsero alla fine degli anni ’90, in un paese in balìa del peggiore caos, disordine alimentato da potenze occidentali e africane, in particolare Etiopia, Kenya, Uganda nella forma della task force creata ad hoc per “riportare ordine” in Somalia, l’AMISOM. Al-Shabaab, come il nome lo indica, è un’organizzazione islamica giovanile, sino ad ora non formano un gruppo prettamente paramilitare. Gli attentati, gli stupri, le rapine, gli attacchi di ogni genere, sono stati perpetrati da milizie armate che di islamico hanno ben poco. Queste milizie sono di stampo clanico, esistono dalla fine dell’ultimo legittimo governo somalo, quello di Siad Barre. Sono clan composti da particolari etnie che nulla avevano a che vedere con la storia culturale somala dai sultanati fino all’occupazione italiana. Gruppi provenienti dall’entroterra che non hanno partecipato alla vita pubblica e hanno vissuto in antagonismo con i gruppi tribali che invece erano al tempo il centro della vita politica e culturale.
“…l’atto eroico del Generale Loi non bastava a ripulirci l’onore e l’onere di una responsabilità tutta nostra, che abbiamo delegato agli USA…”
L’Italia in tutta questa vicenda non è esente di colpe. Attraverso il goffo tentativo dell’operazione Ibis nel ’93, timidamente fummo tentati di risolvere il problema interno di un paese entrato nel nostro dominio e amico da almeno un secolo come la Somalia. Un paese che ha condiviso lo stesso destino nostro e che purtroppo non abbiamo saputo e tuttora non sappiamo rispettare e conoscere. Infatti, chi oggi in Italia conosce il nome della capitale somala? Chi conosce la storia delle colonie italiane? I francesi, gli inglesi, sanno più della Somalia che non gli italiani. Volontà di rimozione di un passato di una memoria scomoda? Una memoria che ci ricollega inconsciamente a quel passato imperiale e ideale che non vogliamo più riprendere. Eh certo, fa paura essere Romani! Come dicevo i tentativi italiani sono stati goffi: l’atto eroico del Generale Loi non bastava a ripulirci l’onore e l’onere di una responsabilità tutta nostra, che abbiamo delegato agli USA (successivamente smembrati dalla ferocia somala), alla Gran-Bretagna e non ultima alla Francia, da sempre vicina al caso somalo vista la propria forte presenza a Gibuti. L’ex Presidente somalo Siad Barre fu colpito dalla miseria di un colpo di stato alimentato da certe frange della sinistra italiana e per la convenienza dal clan Clinton. Così abbiamo accettato di instaurare una guerra civile ventennale in un paese che, bene o male, se la cavava attraverso un rinnovato socialismo e una politica non allineata, oltre che con un’amicizia con l’Italia tradotta in termini amministrativi e militari (AFIS) e un forte senso di irredentismo nei confronti dell’Etiopia, del Kenya e di Gibuti, stati che occupavano ampi territori somalofoni. Questo fu il perno nazionalista di Siad Barre che dichiarò guerra all’Etiopia per riprendersi, aggiungerei giustamente, l’Ogaden, terra somala e già riconosciuta come tale dai nostri etnografi.
Su questo terriccio di ingiustizia, al caos somalo si aggiungono le efferatezze commesse da varie bande armate, veri e propri criminali di guerra, tuttora all’opera, che alimentano lo scambio di merci e di denaro con un certo deep state occidentale dal quale l’Italia non è esente.
Ricordiamo tre nomi: Ilaria Alpi, Marocchino e l’ammiraglio Davide, disonorato per aver rifiutato di buttare scorie radioattive sulle coste somale, abitudine che ormai non ha più tregua in un mare che da Bab-al-Mandeb fino a Lindi, è sporcato da vent’anni da un via vai di navi da guerra, petroliere e bidoni tossici di ogni genere. I pescatori somali furono i primi a formare la temutissima pirateria somala, non tanto per rubare denaro, cosa comunque abituale per dei pirati, ma per difendersi da potenze marittime che non rispettano lo spazio marittimo di uno Stato ormai inesistente. In questo torpore, la Somalia è vittima di se stessa. Le minoranze etniche e religiose, un tempo formatrici della casta più elevata, sono messe al bando, essi sono uccisi, martoriati dai criminali che l’occidente nutre attraverso un circuito neanche innovativo di compravendita di armi, droga, prostitute. In questo scenario ben poco c’entra la religione, come mi sembra da noi non c’entri molto il Vangelo quando un ministro mente spudoratamente al proprio popolo. La verità è che non sappiamo più nulla sulla Somalia, sull’Islam, sull’Africa. Perché mai dovremmo evitare l’egemonia della Turchia? Cosa ci interessa dell’Africa? Vogliamo trattare con una popolazione islamica, bene, ma odiamo l’Islam. I turchi sono musulmani, i somali pure, allora lasciamo che se la sbrighino da soli, no? Fatta questa doverosa premessa, mi sento di dover informare i nostri lettori di quanto non sappiano su quelle terre un tempo illuminate dal nostro stellone.
Un po’ di Storia…
La Somalia nasce ufficialmente con la colonizzazione italiana. Errore goffo dei primi etnologi di Roma fu quello di voler unificare un territorio vastissimo che racchiudeva in sé pluralità religiosa, etnica e culturale. Territorio che prima dall’allora non era mai stato unito in quei termini, dominato nel corso della storia da diverse potenze, locali e non, quali per esempio il Sultanato di Oman, che si estendeva dalla metà della Somalia fino alle coste del Mozambico, Zanzibar inclusa; o l’Impero Safavide, limitato alle uniche città stato di Mogadiscio e Merca, di chiaro toponimo iranico; o dall’Impero Osmanita, che per primo ha posseduto quasi interamente i territori abitati da locutori somali, cioè da Gibuti fino all’oltre Giuba, o basso Giuba, terra comprendente oggi il NFD kenyano. La parola “Somalia” deriva probabilmente dalla parola araba al-sumal, che significa “minzione”, forse in riferimento all’attività agro-pastorale dei primi somali. Ad aver costruito le prime città somale, furono quell’insieme di popolazioni esterne lì stabilitesi, che vuoi per guerre nei loro paesi d’origine, vuoi per espansione coloniale, hanno creato una confederazione tribale che soggiace al nome di Benadir. Con questo nome indichiamo precisamente la regione di Mogadiscio, l’insieme di tribù che lo compongono e una cultura oggi è praticamente scomparsa dalla vita quotidiana della Somalia. I Benadir, da “bandari” termine di origine iranica per “marinai”, parlano un loro dialetto, oltre che parlano l’arabo yemenita, e molti di loro sono di origini persiane o indiane, come testimoniano i toponimi, i cognomi e le usanze religiose relative a una forma di vecchio Islam di matrice molto simile a quella degli Yezidi in Iraq, con marcati aspetti derivanti da un passato zoroastriano.
“Il fatto è che l’Italia ha ottenuto i resti dell’Impero Ottomano, la Libia, l’Eritrea, la Somalia, l’Albania e alcune zone della Grecia.”
Questa popolazione, per grado avanzato di civiltà, ha difatti costruito la Somalia e interagiva costantemente con con i paesi dai quali provenivano i diversi componenti della confederazione tribale, per esempio Turchia, Iran, India, Yemen, costituendo così in territorio africano la continuazione di quella stessa koiné culturale che unificava l’Asia, dall’Anatolia fino al Subcontinente indiano, al di là delle provenienze prettamente geografiche. Anzi, non solo al di là delle provenienze geografiche, ma addirittura religiose. Se è vero che la maggior parte delle popolazioni che ne fanno parte hanno poi nel corso della storia adottato varie forme di islam, è altresì vero che non è l’aspetto religioso ad unirle in reciproca simpatia. Alla religione, alla umma, soggiace un percorso culturale comune, una comune visione del mondo, nella quale rientrano i cibi, il modo di vestire, di parlare, le lingue di prestigio, le letterature di riferimento. Non dovrebbe quindi stupire se la Turchia attuale, della quale non condivido il particolare orientamento religioso, abbia a cuore il ripristinare un impero effettivamente esistito per il quale la Somalia (intesa nei termini precedentemente descritti e non moderni) ebbe una certa simpatia, volendo garantire ciò che un impero ha sempre garantito nelle terre ad esso legate (nel preciso caso attuale con la costruzione di strade, ospedali, scuole, porti, nonché fornendo formazione militare e universitaria direttamente nella propria capitale).
Il fatto è che l’Italia ha ottenuto i resti dell’Impero Ottomano, la Libia, l’Eritrea, la Somalia, l’Albania e alcune zone della Grecia. Questo non sarebbe nemmeno il problema. Il problema scaturisce sempre in senso valoriale. Cosa vuole essere l’Italia? Un Impero o un paesino? Se si vuole essere impero allora bisogna recuperare dei legami, conoscere, avere dei ministri e un’intelligence virtuosi, che non usino tecniche ahinoi di stampo più anglosassone. Bisognerebbe in primis dimostrarsi virtuosi nel proprio territorio e nel proprio mare, con i propri vicini, scegliendo le giuste vie di alleanza, poi considerarsi un continuum con i territori del Nord Africa, come è sempre stato nella storia, considerare legati il Mediterraneo e il Mar Rosso, con l’Italia giusto al centro di questo crocevia. Tornando a noi, quando l’Italia divenne padrona della Somalia, gli etnologi italiani si sono interessati soprattutto alle vicende dei Benadir, garantendo loro più o meno lo stesso posto castale che ebbero durante i sultanati precedenti. Ciò significa che Roma interloquiva direttamente con quelle popolazioni che sapevano costruire case, porti, navi e non per ultimo sapevano fare la guerra e condurla. Così si mantennero dei clan legittimi, di chiara origine yemenita o iranica, a governo delle regioni più a rischio sommossa. L’Italia del dopoguerra invece fede l’esatto opposto.
“Riscoprirsi Patria significa incarnare il simbolo, farsi Roma e avanzare con l’etica che i padri hanno tramandato in virtù leali da legionari e non da lamentosi e sentimentali italiotti.”
Con l’amministrazione fiduciaria (AFIS) l’Italia democristiana e poi socialista, determina che le avventure estere dell’Italia dovevano cessare e il rapporto con il passato impero chiuso e non avvenuto. I professori universitari, in particolare provenienti dall’ateneo di Roma Sapienza, i novelli etnologi post ’68, daranno il colpo di grazia, considerando i Benadir come fascisti e primi colonizzatori della Somalia. Questo mantra ha alimentato alcuni intellettuali somali di altra etnia, che nutriti da Oxford e Harvard, presero posizioni apertamente anti-italiane e anti Benadir! Fu il tempo dell’avvicinamento con Mosca e poi l’arrivo di Siad Barre alle redini di una Somalia unita, anche da altre etnie, ma pur rispettando i privilegi e i consigli dei capi Benadir. Queste mancanze, da una parte come dall’altra, hanno creato il terriccio fertile alla situazione attuale. Un paese simile ad un far-west. Gli italiani di oggi sono purtroppo mal informati già in materia di politica interna, figuriamoci quando si tratta di casi esteri, per i quali la nostra grande tradizione diplomatica ha cessato di esistere per favorire altre diplomazie. Quando l’Italia rivendicava un impero, era fornita di squadriglie di etnologi e linguisti quali il Tucci ad esempio. L’Italia aveva un ente che si occupava di studi sull’Oriente e sull’Africa, questo istituto ha creato belle menti che ci hanno tramandato degli studi sull’Africa Orientale che di sicuro meritano di essere riscoperti dagli italiani di oggi, almeno per farsi un po’ di cultura, del resto il legame fatale tra Roma e le sponde africane, non è nato oggi, e merita un approfondimento, uno studio, una conoscenza vera e non da bistrot. Perciò se volessimo avere un po’ di dignità, cominciamo a farci un bel esame di coscienza, smettiamola di sbandierare per niente, cessiamo l’indegno e calcistico “fratelli d’Italia” solo quando si tratta di marò arrestati o presunti eroi altrove… Riscoprirsi Patria significa incarnare il simbolo, farsi Roma e avanzare con l’etica che i padri hanno tramandato in virtù leali da legionari e non da lamentosi e sentimentali italiotti. L’Italia non sbaglia mai, gli italiani di oggi sbagliano sempre!