di Cristiano Ruzzi
All’interno di quegli atteggiamenti, che da sempre contraddistinguono l’arena politica e i social, si possono evidenziare due livelli emotivi: sfogo emotivo e costanti manie di persecuzione.
Nel primo caso rientrano quel sottobosco di persone che si lagnano continuamente dei propri contenuti privati, rimossi dalle piattaforme a cui sono iscritti tramite un algoritmo interno. Spesso, tali personaggi si sentono profeti rivoluzionari, indovini che prevedono il futuro, martiri della libertà che scrivono fermenti appelli rivoluzionari (“dobbiamo scendere in piazza”, “scacciare i tiranni con le armi”, “contestare, contestare!”), strategie per conquistare i posti-chiave della nazione o, quando hanno una giornata “No”, piagnistei continui verso una società, come la nostra, in costante declino: tutto questo premendo freneticamente la tastiera del pc o lo schermo touch-screen di uno smartphone.
Superata questa condizione, emerge la fase successiva: un senso persecutorio legato a crisi di astinenza dai propri rituali narcisistici, i quali si tramutano in una regressione infantile e superficiale.
La polverizzazione digitale, di quello che costituiva un personale giardino segreto – ma che in realtà non lo è – tende a peggiorare in un vittimismo ridotto al “Me misero, me tapino!”, dove il social-rivoluzionario inveisce contro eventuali segnalatori o cyber-agenti segreti che pedinano tutto ciò che egli scrive sul proprio profilo.
Si potrebbero utilizzare vari termini psicologici per descrivere questi bizzarri comportamenti, ma la realtà è più semplice. Come qualunque navigatore del web, si dà un’eccessiva importanza all’alter-ego che ci creiamo sui social, con l’effetto di provocare un risucchio nel vortice dell’irreale: preferiamo rifugiarci nel “mondo delle idee” 2.0, dove la nostra controparte non solo è modellata a nostra immagine, ma riesce a soddisfare le nostre lacune nel mondo reale, riempiendo il nostro ego in quanto parte di una comunità.
Questa preferenza, oltre a un diffuso senso di smarrimento, ha anche ripercussioni di natura emotiva, psichica, con il constante rifiuto nel voler affrontare le sfide e gli ostacoli che la vita pone davanti.
Certo, ognuno di noi è consapevole del fatto che la tecnologia fa parte del nostro agire quotidiano – laddove eventuali luddismi sarebbero controproducenti – e che le società, a meno che non si presentino inattesi scenari mondiali, tendono sempre a fare il salto evolutivo in avanti.
Se il passato diventa un tempo che non torna più, e il futuro è ciò che riflette “un adesso” non ancora diventato “reale”, cosa rimane? Il presente o, meglio: la consapevolezza di avere i piedi inchiodati alla realtà.
Ecco perché, soprattutto in chiave politica, si deve iniziare a ragionare non come dominati, ma come dominatori della technè in quanto prodotto dell’essere umano: il suo utilizzo dipende da noi, e altrettanto lo sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere. L’intenzione è di utilizzare il web per veicolare un messaggio? Benissimo, ma dotiamolo di contenuti propedeutici e veicolati nella giusta forma, pena la sterilità delle parole nel vuoto digitale, in cui tutti strillano e nessuno ascolta.
Ma un simile comportamento, per quanto ragionevole, deve trovare riscontro nel mondo reale, laddove si richiede una práxis affiancata dal coraggio e la consapevolezza delle proprie scelte.
È comprensibile, pertanto, come la strada da intraprendere sia una medietà, all’interno del quale si riscopre la consapevolezza dell’esser uomini e donne, e non “pecore matte” tendenti al vizio tecnologico e al difetto emotivo.
«Fuori da questo fumo, fuori dal vortice tieni la nave
e bada allo scoglio, che non ti sfugga
la nave e vi cozzi e ci mandi in malora».
Omero, Odissea, XII