di Adolfo Durazzini
Cos’hanno in comune Verona e l’Oriente? Un costato di balena appeso su un arco vicino a Piazza dei Signori, un astrologo venuto dall’India, un sovrano che si interessava di tutte le scienze che venivano dall’Oriente misterioso, una storia di amore stranamente orientale nei suoi temi principali? E se vi ricordassi che a sigillo dell’amore scaligero per l’Oriente, quindi dell’Italia per il Levante, vi è stato anche un noto scrittore conosciuto dai nostri nonni quando erano piccoli e ormai dimenticato dalle generazioni contemporanee? Non vi dice niente? La Malesia, l’India, le tigri? Suvvia! Stiamo parlando del grande Salgari!
“Ai vari “eroi” british, noi contrapponemmo i nostri: Enrico Toti, Durand de la Penne, Teseo Tesei, Amedeo Guillet, il Principe Amedeo di Savoia e ancora in Francia mettemmo Surcouf, Cambronne e tanti altri che derisero la Union Jack con quella leggerezza e quel sorriso proprio della sfida portata alle stelle.”
Se vi è stato un veronese amico dell’Oriente e in particolare dell’India tutta, sia islamica che hindu, è proprio il “papà” di Sandokan e del Corsaro Nero. Emilio Salgari costruisce queste due storie in un momento chiave della storia mondiale, dico bene mondiale perché siamo abituati sovente a concepire la nostra storia, e già non è male, solo come Caporetto e Vittorio Veneto, ma non sappiamo cosa succedesse nel mondo in quei precisi momenti storici al di là del mero aspetto nazionale. Sappiamo che a quel tempo l’Italia non amava molto l’Inghilterra, certo non si parla qui di quella della campagna tutto sommato sana e nemmeno di quella legata a quello spirito vivo che poi si accompagnerà ai circoli di Hooligan, ma quella perfida Albione che col soldo e la corruzione man mano andava a costruire il suo impero di gomma arabica. Ai vari “eroi” british, noi contrapponemmo i nostri: Enrico Toti, Durand de la Penne, Teseo Tesei, Amedeo Guillet, il Principe Amedeo di Savoia e ancora in Francia mettemmo Surcouf, Cambronne e tanti altri che derisero la Union Jack con quella leggerezza e quel sorriso proprio della sfida portata alle stelle. La nostra Europa non era arrogante, non era talassocratica e questo Salgari lo sapeva bene, per questo motivo a Kipling e Lord Byron, due autentiche spie della Corona britannica, infidi come la miseria, il buon vecchio Emilio rispondeva andando alla pesca di eroi che a suo tempo o giù di lì erano nel solco di quel logos indoeuropeo che giammai si piega alla schiavitù ed è pronto a perire per la propria libertà e la sovranità. Così presentò un altro Oriente, non quello trafugato da Lawrence d’Arabia e dai suoi sicofanti, né dai sodomiti e presunti amici dell’India, i quali crearono, storpiandola, quella realtà sincretica che poi allo stesso tempo ha alimentato svariate correnti esoteriche da quattro soldi.
“Sandokan è figlio di un ultimo Maharaja indiano, musulmano appartenente a quell’Islam indiano già caro a Schuon, dove il Vedanta e il Corano si sposano a meraviglia.”
Ah, già dimenticavo, qualcuno diceva che dietro ai british c’era il greco e dietro il greco c’era il fariseo! Beh, non vi stupirà che anche questo Salgari lo capiva bene, perciò i suoi personaggi si imbattono spesso contro un impero, tolkienianamente parlando, composto da banchieri farisei, da mercanti greci traditori e dal gentleman inglese che con molto flemma beve il suo bicchiere di whisky o rum, mentre assiste all’impiccagione di un guerrigliero indiano o malese, con quella indifferenza tipica di chi assoggetta tramite la corruzione. Inoltre l’autore di Sandokan è anche un buon intenditore di alchimia, da buon veronese i suoi romanzi sono intrisi di aspetti magico-rituali, così che il lettore avvezzo possa ricondursi ad un mondo incantato in cui le insidie non sono solo militari o spionistiche, ma anche fatte da avvelenatrici al soldo del Tommy, di maghi rossi, neri e certamente bianchi! Sandokan è figlio di un ultimo Maharaja indiano, musulmano appartenente a quell’Islam indiano già caro a Schuon, dove il Vedanta e il Corano si sposano a meraviglia. L’India è poco conosciuta anche a quelli che pensano di conoscerla, rapendo da Lei, solo quello che fa comodo all’occorrenza: l’Arianità mal compresa, l’Induità mal compresa e il flirt con l’Islam la cui montatura in chiave anti hindu è assolutamente recente ed è manipolata come sempre dall’esterno, anche oggi dal banchiere fariseo, quindi non è un caso che Modi sia un grande amico di Netanyahu! Dicevo, Sandokan, è figlio di Raja, il regno del padre fu comprato e usurpato dagli inglesi per mezzo dell’astuzia dei greci e degli ebrei. Egli viene salvato da neonato e allevato come un povero villano in una zona dell’India tribale, che non corrispondeva a quell’India vedica tanto decantata nei circoli intellettuali del tempo. Così impara la magia nera praticata tra le popolazioni locali, dove sarà già venerato per la sua forza e il suo coraggio, insomma un re è pur sempre un re, anche nella miseria. Si dà al brigantaggio, con una nave e quattro amici, tra cui il portoghese Ianes, diventando il più temuto pirata di tutto il mar dell’India, fino a Sumatra e Momprachem, da dove farà partire poi tutta la ribellione pauperistica contro la corona britannica. Assieme a svariate tribù, l’Ungern Sternberg del Sud Est asiatico, vincerà numerose battaglie contro la Compagnia delle Indie. Rapine, liberazioni di prigionieri politici, battaglie contro ufficiali inglesi, tutte le vincerà e guadagnerà anche il cuore della figlia del Governatore inglese in India!
“…il Veneto, si sa, ha dato gli impulsi di un’italianità che non si basava solo sul mero nazionalismo o chauvinismo alla francese! Yambo, la pirateria, gli Uscocchi e l’impresa fiumana, non sono forse tutte paragonabili allo stesso sogno di Salgari?”
Cari amici, una storia completa di intrighi, battaglie, amore, odio, rivalsa, tutto ciò che serve ad un bambino per crescere sano! Ma siamo sicuri che i romanzi di Salgari, del resto come quelli di Jack London, siano solo per i bambini? Credo che oggigiorno qualche adulto se li debba davvero rileggere. Dovremmo essere più puri, più bambini, così da recuperare il tempo perduto e ripristinare quel concetto di guerra-amore-gioco che tanto trasuda nell’opera del veronese. Azzarderei a fare un altro accostamento: il Veneto, si sa, ha dato gli impulsi di un’italianità che non si basava solo sul mero nazionalismo o chauvinismo alla francese! Yambo, la pirateria, gli Uscocchi e l’impresa fiumana, non sono forse tutte paragonabili allo stesso sogno di Salgari? Quel d’annunziano modo di fare “altra latinità”, altra mediterraneità, andando a ripescare, come nella Lega dei Popoli Oppressi, quella stessa voce necessaria di pacificazione, di raccoglimento in una stessa liturgia nuova e al contempo arcaica, quella dell’eroismo senza frontiera. La Patria di D’Annunzio era eroica e quella di Salgari pure. Tutto il concetto di Italia e italianità allora si andava fondando con lo sguardo rivolto alle stesse prospettive eurasiatiche oggi così di tendenza, non perché facesse “figo” essere altro, ma perché ci si sposava con chi avesse ancora a cuore i valori di eroismo, coraggio, dedizione ad un’idea, cosa che nel nostro Occidente ottocentesco, ma ancora oggi, non si vede. La stessa critica alla borghesia, a quella finta tranquillità cittadina, all’eterno mantra “ottant’anni di pace da quando c’è l’Europa Unita” non è altro che un sotterfugio. A cosa dobbiamo la pace interna se non allo sfruttamento e all’oppressione di popoli ancora in guerra anche per colpa dei nostri stessi nemici? I liberali, i banchieri, la finanza, ne parliamo oggi, ma questo volto è ben più antico, il mercantilismo, le missioni religiose, l’imposizione di una ideologia, sono tutte facce di una stessa medaglia, quella dell’imperialismo.
“Sandokan per l’appunto si schiera tra le fila di quegli eroi indiani che hanno fatto i conti con il proprio svadharma, e hanno agito nel sacro dedicandosi tutto e per tutto ad una causa. “
L’Eurasia è intrisa di tali eroi, pensiamo a Gengis Khan, che versava oro colato negli occhi dello Shah di Persia, “ti piace l’oro? Va’, guardalo da più vicino!”, oppure agli eroi indiani quali i Marāṭā, che mai tradirono e giammai usarono tattiche basse. Morirono, persero? Che importa, come diceva il Principe Borghese, in ogni guerra l’importante è il “come” si perde, si vince e si lotta. Questo carattere solare, perfettamente Ario, ha accomunato schiere di indoeuropei, dal Khotan all’Irlanda di Bobby Sands. Un legame sottile unisce gli eroi, un linguaggio univoco ha portato loro ad essere ribelli e accettare che per esistere in quanto eroi, il “male” debba esistere per portargli guerra Santa subito! Così all’eroe, allo kṣatriya, è dato di fare il proprio dharma in linea con il grande Dharma, ma senza raccoglierne i frutti. Può anche essere che Salgari non conoscesse Arjuna e la Bhaghavad Gītā, chissà, tuttavia l’ha interpretata a meraviglia nella sua opera, nella quale Sandokan per l’appunto si schiera tra le fila di quegli eroi indiani che hanno fatto i conti con il proprio svadharma, e hanno agito nel sacro dedicandosi tutto e per tutto ad una causa.
“…Mazzini era letto ed amato in India, questo lo sappiamo di per certo, Tagore fu uno dei protagonisti della paninduità in senso imperiale quanto Mazzini lo fosse in un certo senso per la panromanità dei popoli europei…”
Inoltre, è interessante notare come Salgari ebbe l’intuizione della perdita di rango come fucina eroica. Sandokan infatti è re ma non è ancora riconosciuto come tale, è quindi presente in una certa misura il concetto di occultamento e di distacco, tipico delle epiche eurasiatiche. Lo riconnetto anche al fenomeno del brigantaggio, dell’essere fuorilegge. In un mondo fatto di banche, vizi, corruzioni e noie varie, il fuorilegge, colui che fa il passaggio al bosco, come i Wandervoegel del resto, è il vero eroe! Non si può prescindere dall’essere fuori, non contro, ma fuori dal sistema, cavalcarlo in un modo o in un altro.
Altra dimenticanza, il lettore mi perdoni, è singolare che Ianes, cioè un portoghese, sia il luogotenente e migliore amico di Sandokan in tutta questa vicenda. In verità Salgari anche qua non trascura il dettaglio: il Portogallo nell’ideale rappresentava ancora in quei tempi, fine ottocento, quella forma di impero talassocratico certo, che tuttavia non si dava al mercimonio come accadeva tra i britannici. Il portoghese ha effettivamente avuto più onore in tutte le vicende che lo videro conquistare il mondo, da semplice pescatore che è rimasto, a grande conquistatore in chiave romana, cioè assimilando le popolazioni ad un concetto superiore di impero che non quello legato al puro controllo e arricchimento. Questo tipo di concetto coloniale fu poi ripreso dall’italiano, che infatti costruiva impero e non colonia. Non a caso Salgari, non potendo direttamente mettere un italiano, presumo per fattori diplomatici a riguardo delle terre irredenti, a migliore amico di Sandokan, pesca un consimile cugino nostrano, in quel piccolo regno lusitano, ancora simile al modus operandi delle nostre serenissime repubbliche marinare, ormai corrotte e distrutte, non tanto dal moro o dal Gran Turco, ma dalle successive inflazioni britanniche ed ispaniche. Un’altra chiave di lettura dell’opera di Salgari è da ritrovare nel nesso tra i crescenti nazionalismi indiani e anche indonesiani e il nostro nazionalismo, in particolare garibaldino e mazziniano. Mazzini era letto ed amato in India, questo lo sappiamo di per certo, Tagore fu uno dei protagonisti della paninduità in senso imperiale quanto Mazzini lo fosse in un certo senso per la panromanità dei popoli europei, iniettando anche molta religiosità ricomposta e adattata ai suoi tempi, quali i chiari riferimenti pagani sapienziali, per niente massonici come molti possono pensare, e il forte giustizialismo che lo ha spinto e che ha mosso valorosi italiani a muovere guerra agli invasori dell’Italia, dall’Austria, alla Francia, fino all’Inghilterra che Mazzini non amava per niente. V’è quindi un filo d’Arianna che annovera Mazzini, Salgari, Tagore, riassunto nelle vicende di Sandokan e del Corsaro Nero.
Sandokan rappresenta ancora l’eroe di cui i bambini hanno bisogno. Un nobile, un Gentile, che lotta con i poveri indifesi, con amore e dedizione per una causa persa a prescindere su questo piano. Sandokan ama le donne, ama il buon vino, ama salvare la gente, è puro e valoroso, non conosce intrighi, ma usa l’astuzia per districarsi da chi ha fatto della propria vita un’opera mal riuscita, un continuo insieme di menzogne.