L’avv. Gabriele Bordoni riflette sul caso di Piacenza senza ipocrisia e preconcetto, ma invocando quella fiducia e rispetto che solo l’azione mirata nel tempo può concedere a qualsivoglia istituzione ed essere umano.
di Gabriele Bordoni
Fiducia e rispetto si ottengono attraverso il comportamento, per il modo di essere e di porsi verso gli altri; conta quanto nei fatti si è capaci di dimostrare.
Questo per le singole persone; per le istituzioni, interviene anche la loro storia; ma, certamente, la condotta di chi le incarna in un determinato tempo finisce per qualificarle ed esporle ad un rinnovato scrutinio.
Quanto apprendiamo in queste settimane essere avvenuto a Piacenza deve essere letto alla luce di questa semplice premessa, lasciando da parte scandalismi stantii, sgomento di facciata, iperboli e frasi fatte.
Del resto, in un contesto oggettivamente patologico -e non per via del virus- con un Popolo assuefatto a tutto e che ogni cosa, in verità, è pronto a tollerare, senza alcun punto di riferimento valoriale comune, non interessa nulla stigmatizzare il contegno di un gruppo di malviventi, nemmeno se indossavano le divise dell’Arma.
Interessa, invece, riflettere sul rispetto e sulla fiducia che possiamo conservare rispetto a quella istituzione e, per farlo in maniera equilibrata, dobbiamo ragionare in concreto, senza strumentalizzare l’accaduto né generalizzarne significato e valenza.
Per prima cosa, chiediamoci: possibile che una situazione così paradossale perdurasse da tempo senza che nessuno avesse a rilevare alcunché di anomalo ?
Non parlo soltanto dei colleghi di quei signori né dei loro superiori gerarchici; ma anche di tutti coloro che si rapportavano con loro nelle diverse funzioni dell’amministrazione dello Stato; gente che si esprimeva in toni così spavaldi e squilibrati, agendo spregiudicatamente anche nei confronti di numerosi estranei, davvero sapeva tenersi in maniera adeguata nei momenti in cui fingeva di appartenere all’Arma e ne eseguiva, almeno all’apparenza, i compiti?
Nessuno coglieva alcunché di dissonante rispetto a quella condotta che, per continuare a raccogliere rispetto e fiducia, i Carabinieri dovrebbero tenere ?
Oppure dobbiamo pensare che, oramai, verso l’Arma si tratti di manifestare un rispetto ed una fiducia superficiali, sconnessi rispetto all’osservazione dell’effettivo stato delle cose?
Perché questa chiave di lettura sarebbe davvero pericolosa: come si disprezza a prescindere, si apprezza a prescindere e sono soltanto l’apparenza ed il ruolo a contare, non l’analisi della realtà e di come quel ruolo viene interpretato.
Il silenzio delle stesse vittime, anche si trattasse di puscher o piccoli delinquenti, rimaste silenti per tanto tempo, sembra muoversi secondo questa logica deteriore: i Carabinieri sono comunque nemici, questi sono anche balordi, ma se restano lì significa che il sistema non li nota nemmeno; ed allora il sistema è balordo e si ha quindi timore a rivelare la realtà perché si immagina di non essere presi nemmeno in considerazione.
Anche loro, probabilmente, avevano perso fiducia nell’ipotesi che lo Stato potesse intervenire, attraverso forze di polizia non contaminate, ripristinando la legalità; e dire che ci troviamo nell’ordinato ed operoso nord che sostiene il p.i.l. del Paese (aspetto che, all’evidenza, non conta nulla, se non per gli analisti economici).
Di converso, pare che ci fossero anche alcuni che -con idee, concetti e riferimenti un bel po’ confusi nella testa- condividevano il fare spiccio di quei militari, immaginando che fossero animati da senso pratico e che agissero machiavellicamente per un fine giusto che scusava anche i mezzi illeciti utilizzati: invece si trattava di fini tutti schiettamente e biecamente personali e, comunque, i mezzi sempre illeciti restavano.
Pare che un giovane Carabiniere, operante in quella Caserma, si sentisse isolato rispetto ai colleghi: parlando con il padre che gli chiedeva perché costoro potessero permettersi quel contegno da balordi, rispondeva: “perché portano i risultati, lo so! Lo so!…Io ti faccio fare bella figura, a te colonnello ti faccio fare bella figura e ti porto uni sacco di arresti l’anno. Lavorano assai!“.
Al che, la nostra riflessione prende sempre più corpo e fondamento.
“Nessuno mi ha fatto mai una segnalazione, ma non posso pensare che nessuno si sia reso conto di quello che succedeva nella caserma”, ha dichiarato il maggiore che ha comandato la compagnia di Piacenza fino ad ora, prima di essere rimosso e sottoposto a cautela e questa è la stessa nostra conclusione: una omertà così diffusa è probabilmente la risultante in parte di una scelta vile di connivenza utilitaristica, in parte di una disillusa e tollerante rassegnazione, in parte di una allarmante e disinvolta superficialità della coscienza civile.
Quale atteggiamento sia peggio fra questi elencati è valutazione che spetta ad ognuno.
Ma se noi Avvocati pensiamo alle relazioni che vengono chieste agli Uffici dell’Arma, chiamati ad esprimersi sul modo di tenersi di cittadini dei quali debbano tracciare il contegno e l’eventuale tendenza criminale, allora sì che lo scenario diventa grottesco: le espressioni che -sin troppo frequentemente e quasi di maniera- vanno a descrivere a tinte fosche nelle informative coloro che queste ultime hanno ad oggetto, connotandone negativamente la figura, sulla base di elementi molto e troppo spesso impalpabili e non verificabili, escono da uffici che verso i loro stessi uomini hanno dimostrato tale protratta indifferenza, a volte compiacenza, talvolta forse anche ignavia.
Il difensore non può restare impassibile davanti a questi scenari: ha fatto un patto con lo Stato e si è impegnato a rispettare le sue leggi, quindi deve invitare chi difende ad avere fiducia e rispetto nelle istituzioni, dalle quali ci si deve anche difendere, ma nei termini di una dinamica civile di confronto, nel segno comune della legalità.
Ma se fiducia e rispetto, si diceva, vanno guadagnate sul campo per poi essere mantenute vive attraverso il perdurare di un modo di essere e di porsi, allora è il momento di darci tutti una “scantata”, relegando i luoghi comuni, le presunzioni, la superficialità stereotipa, così come la rassegnazione.
Dando l’esempio ed essendo noi stessi, nel contempo osservando attenti quanto avviene attorno a noi, quale che sia la nostra funzione e tanto più se quella funzione è svolta nell’interesse collettivo; pretendendo che ognuno, per quanto gli compete, assolva ai propri compiti.
Per invocare i diritti, ci si deve ricordare che sono soltanto l’altra faccia dei doveri.
“Il mio obiettivo personale, è di guadagnare la fiducia giorno per giorno”, afferma ora il nuovo Comandante ed il motto lascia ben sperare: Piacenza ora non lo lasci solo e chi in quella città riveste ruoli pubblici si interroghi lealmente su come possa essere successo quanto ora riempie le pagine dei giornali.
Senza strillare e senza porsi sul pulpito, ma dimostrando la dignità di riconoscere gli errori e ritrovando il coraggio di saperli correggere: questa è civiltà, il resto è solo la solita miserabile commedia dell’arte.