Attualità Mondo

Beirut o l’eternità della sposa!

8 Agosto 2020

di Adolfo Durazzini

Bayrūt! La città dei pozzi o delle sorgenti, non di petrolio ma d’acqua. Questa risorgiva sa accogliere e sa respingere, sa creare e sa distruggere, quasi a ricordare alla gente che verrà dal mare o dal cielo per visitare questa Signora del Levante, che Beirut non è solo Rafiq Hariri o l’ultima, direi ennesima, esplosione che la Ginevra del Medioriente ha dovuto subire da quando il piombo venuto dal cielo ha voluto deridere la sua potenza e il suo charme. Sarà forse per punirla, o per ribattezzarla con il fuoco di un popolo da lì non tanto lontano geograficamente e culturalmente?

Basterà un piccolo excursus per le vie di Beirut e per la terra libanese in generale per farci esplodere di fronte agli occhi la bellezza mozzafiato dei suoi paesaggi, ricchi e garbati, dall’ulivo al cedro, fino ai fichi che tentano invano di baciare lo scroscio di un mare abituato a farsi respingere dalla sua amata pietra, questa troppo occupata a sorreggere le mille case e quei beati libanesi che in pausa lavoro si tuffano nel turchese marino. Il mare e la marina sono onnipresenti e pervadono l’ambiente, i cuori e le menti, perfino nel labaro cittadino che rappresenta un’agile e composta galera, quella stessa che per secoli ha imbarazzato tutti gli altri popoli mediterranei. Pirati o regolari, i fenici, che partivano da Berito, Beirut e da Tiro, sono da considerare alla stregua dei vichinghi: commercianti, guerrieri, abili in trattative di ogni genere e costruttori di ponti e porti sparsi ovunque nel Mare Nostrum. Sarà forse un caso che le vestigia più antiche ritrovate in Brasile sono proprio vichinghe e fenicie?

Siano state delle guerre o delle catastrofi naturali, nulla ha potuto scalfire l’animo fiero del popolo di Beirut. A seguito di un fortissimo terremoto che scosse terra e mare, la città di Berito cadde in frantumi e divenne di lì a poco romana. Roma le conferì uno status speciale segnando l’inizio della sua egemonia regionale come capitale del futuro Libano. La civiltà che cresce a Beirut è quella del benessere, fatto di mare, di vita calma e moderata, di cibi variegati ed equilibrati, di indumenti à la page, di profumi, aromi e unguenti che faranno rabbrividire di invidia le matrone romane. Ma sono due prodotti libanesi in particolare a fare la fortuna dei romani prima e dei veneziani successivamente: il vetro e la porpora. Quest’ultima estratta da un particolare tipo di mollusco onnipresente sul litorale libanese: da questa creatura si estraeva un succo che colorava le toghe dei senatori e tingeva le tuniche dei centurioni romani, conferendo loro l’importanza e la forza che tal colore possiede, come si direbbe anche del cinabro. E per quanto riguarda il vetro? Pura creazione fenicia che unisce tecnica e stile, segna l’intelligenza di un popolo che ha saputo trasformare la materia. Infatti, come dei veri alchimisti, i fenici furono i primi profumai, i primi maestri vetrai e di fatto i creatori dell’alfabeto come lo conosciamo, sappiamo bene che l’alfabeto che usiamo, quello latino, di certo altro non è che l’evoluzione di quello fenicio stilizzato in quello greco. Tutto fa pensare che Wirth non avesse poi così tanto torto quando, a seguito delle sue ricerche sulle tracce di Atlantide, rammentava che la civiltà fenicia avesse potuto avere delle connessioni valide con la vasta civiltà atlantidea, di cui già Platone riportava le particolari capacità tecnologiche, le raffinatezze nei modi di fare e la vita felice come felix fu l’Arabia così allo stesso modo il Libano.

Tornando sui nostri passi per le strade cittadine, Beirut crebbe anche dopo la caduta dell’Impero romano: si è così evoluta in quella Medina araba, già bizantina, che ha conferito al centro storico quel fascino fatto di coltri di polvere sui tappeti del bazar già saturo degli aromi di tutto il mondo. La capitale del Libano diventa così, o piuttosto rimane così, un crocevia di fondamentale importanza: accademie filosofiche, già ben ancorate ai tempi alessandrini e poi romani, continuano la speculazione fino ai sommi dialoghi della Falsafa e del Fiqh islamici. In diretto eco con Damasco, le due “sorelle” si contendono assieme al Cairo e a Baghdad, il primato culturale, giuridico, economico e religioso… Ma è nella moda, o meglio nello stile che Beirut primeggia fino ai giorni nostri. Se sei raffinato, pieno di charme, e forse… ti considerano altezzoso, allora devi essere a Beirut! Lo so, vi sembrerà la descrizione di Parigi e del parigino, forse? Vi assicuro che non è un caso, ma non è la sola presenza “protettiva” francese a spiegare questo modo di essere schietto ed elegante del libanese, il quale sa di poter frequentare le capitali del mondo intero, e in particolare Parigi, pareggiando in creatività e in eloquenza. Le vie di Beirut, malgrado gli incessanti barbari bombardamenti che durarono per ben 15 anni, hanno mantenuto una tale gioia che sprizza da ogni angolo cittadino che mai le guerre sapranno totalmente annientare. Tra gli affaristi e gli editori occupati a togliere la cenere di sigaretta dalle pile di libri in negozio, fino ai giovani studenti appena usciti da una rivista di moda, Beirut resta in piedi sulle proprie rovine che le conferiscono una maestosità e una grazia che solo il dolce e armonioso connubio del meglio dell’Oriente e dell’Occidente può determinare. Il minareto, il campanile, il nuovo bazar e i grattacieli in stile contemporaneo non si fanno la guerra, si guardano, si frequentano e si sorridono a vicenda magari bevendosi, chi di nascosto e chi no, un bicchierino di arak e una fetta di zaatar tanto per ricordare che sul cibo e sullo stile di vita, non v’è credo che tenga: nessuna ferita rimane aperta per sempre per chi ha a cuore l’ospitalità e la buona tavola. La tawila libanese è ricca e variegata dicevo più sopra. Il cuore di questo agapè permane nel mezé, grande tavolata alla quale è possibile incantarsi negli assaggi più raffinati ed equilibrati che l’uomo potesse aver mai inventato. Il libanese riesce a meravigliarti con del prezzemolo, qualche grano di semola, dei cubetti di pomodoro e tanto limone e olio. Riesce a conferire nobiltà a qualsiasi leguminosa e qualsiasi verdura, per il gran piacere dei modaioli californiani che scoprono che con un cecio si può fare un antipasto squisito, leggero, nutritivo ed elegante. Non posso e non intendo stendere il menù della gastronomia libanese, ma vorrei ricordare il ruolo centrale, e direi veramente religioso, che ricopre lo stare assieme, il mangiare assieme e condividere lo stesso grande piatto. Questa ospitalità viene dall’educazione di popolazioni che avevano a cuore le buone maniere e le forme più elevate dello spirito umano. Queste usanze sono riscontrabili anche nella cultura araba che dà all’’adab il ruolo di far convergere tutte le maniere e i costumi che fanno la buona vita, quella con virtù, e con pochissimi vizi…

Questo modo di essere, ha plasmato tutta una koiné di genti che dall’India alla Spagna hanno assaporato una modalità di stare al mondo, vero savoir faire, che alla fine è inutile andare a rintracciare nella sedimentazione di una cultura su un’altra, ma forse semplicemente da riconoscere in quella saggia maniera degli avi che hanno preferito scambiare e parlarsi, anche scontrandosi, ma mai negando la presenza dell’altro. L’onnipresenza del culto di San Giorgio, da parte islamica come da parte cristiana, dovrebbe ricordarci come Beirut sia un ponte e non un muro, o meglio, sarà un muro contro chi osteggia il dono della differenza contro l’omologazione e il facile costume. Forse per questo, la lotta del popolo libanese ha della nobiltà insita nei cuori e negli animi di quei marinai per necessità, che riuscirono tuttavia ad ammaliare Enea, il “nonno” degli italiani, quando questi invece bombardarono Beirut nel 1911 a seguito dell’invasione della Tripolitania. I Santi Giorgio ed Elia proteggono e hanno guidato i libanesi in molte vittorie, anche in quelle quotidiane. Poiché il verdeggiante Libano ha saputo navigare sulle acque, come colui che poggiando su un pesce galleggia e sceglie la via dell’armonia e dell’eterna gioia di vivere, Beirut ha saputo sovente reinventarsi, non dimenticando mai l’origine che la sorregge e dona lei quella bellezza di una Donna che mai invecchia, ma che ha con saggezza assaporato le esperienze che la storia umana ha intrapreso. La vita libanese lo dimostra, qui nessuna volgarità è contemplata, la maniera del berutense sposa l’eleganza e la fatalità della vita stessa, con il sorriso e la leggerezza che una sposa possiede nel giorno più simbolico della sua vita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *