di Stefano De Rosa
LE CRITICHE PRETESTUOSE
Due sono state – e costituiscono tuttora – le principali direttive di critica che dallo scorso inverno hanno accompagnato la partenza mediatica di questa complessa iniziativa referendaria: da una parte la frammentarietà degli argomenti e l’asserita sovrapposizione ad un tragitto di riforme intrapreso dal nuovo corso avviato a Via Arenula. Dall’altra lo scetticismo suscitato dall’impegno della Lega giudicato opportunista.
Sul primo punto siamo convinti che i referendum non possano costituire un intralcio al riformismo giudiziario del governo. Stante la composizione parlamentare scaturita dal voto politico del 2018, non è per nulla scontato che le riforme promosse dal neo ministro della Giustizia possano vedere la luce, considerando la persistente natura giustizialista del M5S non scalfita dalla recente parziale conversione garantista del ministro degli Affari Esteri. Ben venga allora il fecondo stimolo di una seria e qualificata campagna referendaria, o per meglio dire l’avvio di un processo popolare sostitutivo e non ausiliario del potere legislativo.
Sull’altro rilievo, ci permettiamo di osservare che da un punto di vista costituzionale il referendum, quale fonte di diritto, rappresenta la “seconda scheda” a disposizione del popolo per esercitare la sua sovranità, per farsi a suo modo legislatore. Stigmatizzare la condivisione del fronte referendario tra Lega e Partito Radicale dimostra di ignorare che simili iniziative sono per loro natura trasversali. È la stessa logica binaria che consiglia, anzi impone, il superamento delle appartenenze politiche. Ed è la storia del referendum che lo insegna. Fornirne una lettura viziata dalla geografia politico-parlamentare o ideologica è riconoscersi prigionieri di quella presunta superiorità morale che ha condotto alle disfunzioni narrate da Palamara.
A proposito di alterità morale, da stigmatizzare, semmai, è la posizione del Partito democratico che nel recente dibattito interno ha registrato una presa di posizione davvero sconcertante del suo segretario, per il quale i referendum sarebbero solo “un modo per fare lotta politica”. Una ipotesi che al Nazareno evidentemente si guardano bene dal praticare, preferendo agire da fiancheggiatori delle toghe. D’altra parte, il Pd – partito-stato, partito-apparato, partito-poltronificio, partito-garante delle burocrazie europee, presidio politico dell’insegnamento gramsciano sull’egemonia culturale – è il riferimento parlamentare della Magistratura militante, quello cioè dove maggiormente si registra il fenomeno delle cosiddette porte girevoli tra politica e giustizia. Sarà solo una coincidenza o propaganda della controrivoluzione.
UN POTERE MINACCIOSO DA COMBATTERE
La gravissima minaccia del presidente dell’Anm di considerare i referendum radical-leghisti una intollerabile valutazione del gradimento dell’operato della Magistratura e la relativa invocazione di una “ferma reazione” della stessa Associazione non solo tradiscono il timore per il giudizio del popolo sul verminaio raccontato nel libro, ma mostrano – fatto forse ancora più grave – di misconoscere che il referendum costituisce un bilanciamento istituzionale del potere del Parlamento voluto dall’Assemblea Costituente. La Magistratura organizzata che invoca la mobilitazione contro la volontà popolare: a questo potere totalitario è ridotto il sistema giudiziario italiano. Chissà se il Presidente della Repubblica, a capo anche del Csm, sentirà il dovere di intervenire in difesa della Costituzione.
Non sembri un paradosso, ma il porsi – con questi referendum – in posizione dialettica rispetto alle istituzioni rappresentative consentirà all’elettore di correggere a favore della politica un potere sbilanciato verso una certa Magistratura ricattatoria e priva di controlli e di riconciliare così volontà popolare e azione politica. Ponendo fine a trent’anni di giacobinismo giudiziario, abbandonando la costituzione reale e tornando a quella scritta.
Ha sostenuto recentemente Marco Della Luna (centroitalicum.com, 31.5.2021): “[…] la legalità è soggettiva: una mera opinio legalitatis et legitimitatis, fabbricata dalla narrazione unica dei mass media. Non esiste un diritto oggettivo, un diritto in sé. Il diritto si riduce a legalità percepita o fatta percepire, alle regole inculcate: è soggettivo. La distinzione tra potentia e potestas è illusoria. Vediamo confermato il giusrealismo sul giuspositivismo e sul giusnaturalismo: al di là delle leggi apparenti, il diritto effettivo è l’insieme delle regole di fatto osservate e dei fattuali rapporti di forza, non solo materiale e legale, ma anche comunicativa e propagandistica, compreso l’uso del terrore”.
Sottoscrivendo i quesiti e poi votandoli alle urne, nella speranza che nel frattempo non vengano strumentalmente falcidiati dal vaglio di costituzionalità della Consulta (chi, in tema di referendum sulla giustizia, se ciò accadesse, oserà rilevare un potenziale conflitto di interessi?), il corso degli eventi può essere invertito.
Fonte Italicum