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LA GUERRA DIMENTICATA: IL CONFLITTO IRAN-IRAQ 1980-1988

16 Novembre 2020

dall’amico Andrea Lombardi, la testimonianza di una guerra che ha forgiato la rivoluzione islamica dell’attuale Iran…

Una guerra lunga otto anni. Un milione di morti e milioni di profughi. Armi chimiche e missili balistici contro attacchi in massa di ragazzini-soldato. La comunità internazionale preoccupata solo del prezzo del petrolio e di vendere armi ai contendenti. L’intervento americano per il controllo delle risorse petrolifere, tra incidenti internazionali e il traffico clandestino d’armi. Una guerra dimenticata, oggi come allora. Trenta anni fa, la guerra tra l’Iran e l’Iraq: nel libro La guerra dimenticata: il conflitto Iran-Iraq 1980-1988, a cura di Andrea Lombardi e appena edito da “Passaggio al bosco” (Firenze, 2020) la storia del conflitto è ricostruita dai saggi La guerra Iran-Iraq, 1980-1988 di Saskia M. Gieling, dove sono approfonditi gli antefatti storici delle ostilità tra Iraq e Iran, il contesto politico internazionale e gli sviluppi diplomatici durante il corso del conflitto, Storia militare della guerra Iran-Iraq, 1980-1988 a cura di Carlo Lagomarsino e Andrea Lombardi, che tratta in dettaglio l’organizzazione militare e le operazioni belliche delle due nazioni, analizzando i vari momenti della guerra, dall’offensiva irachena di inizio guerra alle controffensive iraniane, agli anni della guerra di posizione ai bombardamenti aerei e missilistici sui centri abitati (la “Guerra delle città”) e sul traffico navale nel Golfo (la “Guerra delle petroliere”), toccando poi punti controversi come la guerra chimica e l’intervento americano nel conflitto. Il saggio Le armi chimiche di Javed Ali, tratta poi il programma di armi chimiche iracheno, il loro uso sul campo contro l’Iran e contro i curdi, le reazioni dell’ONU e degli Stati Uniti, mentre Gli Stati Uniti e la guerra Iran-Iraqdi Stephen R. Shalom analizza polemicamente ma con accuratezza la politica americana nel Golfo Persico: le manovre diplomatiche per accrescere la propria presenza militare nella regione, l’appoggio dato all’Iraq, le forniture di armi all’Iran (lo scandalo Iran-Contra), e le operazioni aggressive dell’US Navy, culminate nell’Operazione Praying Mantis, definita all’epoca la maggiore operazione aeronavale statunitense dalla seconda guerra mondiale, e la strage di civili nell’abbattimento da parte di una nave da guerra americana di un aereo di linea Airbus iraniano. Infine, la prefazione a questa edizione (2020) di Paolo Mauri evidenzia la sua importanza nelle “Guerre del Golfo” successive, sino ad arrivare al picco di tensioni tra USA e Iran degli ultimi mesi. Sono incluse numerose fotografie dei combattimenti terrestri, aerei e navali e dei mezzi impiegati, e diverse immagini inedite in Italia sui terribili effetti degli aggressivi chimici sui civili iraniani e curdi. In appendice, il testo della Risoluzione ONU 598 che pose fine al conflitto, e l’elenco delle aziende che contribuirono allo sviluppo delle armi chimiche, batteriologiche e nucleari irachene.

Il libro a cura di Andrea Lombardi è edito presso Passaggio al Bosco e disponibile al seguente link:
https://www.passaggioalbosco.it/prodotto/la-guerra-dimenticata/


Di seguito, riportiamo dal saggio di Saskia M. Gieling in apertura del libro, la ricostruzione delle cause di questo terribile conflitto:

Il pretesto per l’invasione irachena dell’Iran

L’Iraq sostenne di essere impegnato in una guerra difensiva, e di essere “costretto ad esercitare il suo legittimo diritto all’autodifesa della sua sovranità e integrità territoriale, e di recuperare i suoi territori con la forza, in considerazione del fatto che il governo iraniano aveva sbarrato la strada ad ogni modo legalmente riconosciuto di risolvere le questioni derivanti dalle sue azioni”[1].

Prima dell’invasione, l’Iraq aveva frequentemente accusato l’Iran di atti di aggressione contro l’Iraq, e di interferire negli affari interni iracheni, per esempio appoggiando il partito al-Daʿwa, messo al bando[2].

In delle trasmissioni radio in lingua araba, i dirigenti politici iraniani diffamavano veementemente il regime Ba’th, accusandolo di essere anti-islamico e un fantoccio delle potenze imperialiste. Il regime di Baghdad era anche accusato di atti d’aggressione contro l’Iran tramite l’aperto supporto agli insorgenti separatisti nel Khuzestan, promettendo loro di assisterli a liberare l’”Arabestan”, il nome adottato dal regime iracheno per l’antica provincia persiana.

Secondo il governatore generale del Khuzestan, l’Ammiraglio Aḥmad Madani, l’Iraq forniva armi ai ribelli[3].

In molte occasioni, l’Iraq aveva addirittura sferrato degli attacchi contro i villaggi di frontiera, per esempio nel giugno 1979 contro alcune località curde nell’Iran nord-occidentale, e il mese seguente Ṣāleḥābād nel sud, dove diverse persone furono uccise. Durante la prima metà del 1980, si verificarono ulteriori scontri di confine.

Le pretese irachene sulla propria sovranità su tutti i territori e le vie d’acqua contesi ravvivò le antiche dispute territoriali tra i due paesi[4].

Il disaccordo territoriale maggiore era quello sullo Shatt al-Arab e altre vie d’acqua. Inoltre, facevano parte delle pretese territoriali di Saddam Hussein anche tre piccole isole del Golfo Persico: le isole di Abu Musā e le isole Tonbs (maggiore e minore). Queste isole, lontane dal confine iracheno, sono vicine allo Stretto di Hormuz, e quindi di grande importanza strategica. Sino alla fine del XIX secolo e inizi del XX secolo, quando gli inglesi avevano occupato un gran numero di isole iraniane, amministrandole quali protettorati inglesi attraverso degli sceicchi arabi, queste isole erano state parte del territorio iraniano.

L’isola iraniana di Abu Musā era amministrata in nome della Gran Bretagna dallo sceicco di Sharjah e le altre due dal Raʾs al-Khaymah; ambedue questi sceiccati entrarono a far parte degli Emirati Arabi Uniti. L’Iran ricatturò queste isole il 30 novembre 1971, qualche giorno prima che gli Emirati Arabi Uniti nascessero a seguito dell’indipendenza dall’Inghilterra. L’Iran riconobbe rapidamente l’Emirato appena fondato.

Nel settembre 1980, l’Iraq rivendicò le tre isole, a nome della “nazione araba”, richiedendo il riconoscimento iraniano dei “legittimi” diritti dell’Iraq[5].

La disputa di confine

Il contenzioso principale ruotava attorno al confine nella via d’acqua dello Shatt al-Arab e nella rivendicazione irachena della provincia iraniana del Khuzestan. Secondo l’ideologia panaraba del partito Ba’th, il Khuzestan apparteneva alla nazione araba, e avrebbe dovuto ritornare in mani arabe[6].

Il più importante punto di disaccordo era, tuttavia, lo Shatt al-Arab, il quale è formato dalla confluenza di fiumi Tigri, Eufrate e Kārun[7]. Gli ultimi 90 dei 210 chilometri dello Shatt al-Arab formano la frontiera tra Iraq e Iran. Lo Shatt al-Arab è di importanza economica e strategica per ambo le nazioni. Bassora, l’unico porto iracheno sul Golfo Persico, si trova a 75 chilometri a monte, e vicino allo Shatt al-Arab si trovano grandi installazioni petrolifere dell’Iran e dell’Iraq (per una ricostruzione storica delle dispute, v. Pārsādust, 1990a).

Dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano, mentre nel 1920 l’Iraq divenne inizialmente un mandato britannico, e quindi uno stato indipendente nel 1932, l’Iran ripudiò la linea di demarcazione stabilita nel Protocollo di Costantinopoli del novembre 1913. L’Iran voleva che il confine corresse lungo il thalweg, il punto più profondo del canale navigabile, sostenendo che il Protocollo di Costantinopoli era una eredità del dominio coloniale. L’Iraq, incoraggiato e spalleggiato dalla Gran Bretagna, portò nel 1934 l’Iran alla Società delle Nazioni, ma non fu raggiunto nessun accordo.

I negoziati tra le due nazioni continuarono, e nel 1937 l’Iran e l’Iraq firmarono il loro primo trattato sui confini. Tra l’altro, il trattato stabiliva il confine della via d’acqua sulla riva orientale del fiume, eccetto una zona d’ancoraggio di 6 chilometri vicino a Ābādān, che fu assegnata all’Iran e dove il confine correva lungo il thalweg. Anni dopo, l’Iraq accusò l’Iran di essersi approfittato della debole posizione negoziale dell’Iraq in un momento dove quest’ultima nazione era sconvolta da dei disordini politici interni in seguito al golpe di Nuri al-Said del novembre 1936[8].

Per tre decenni non avvennero altri importanti sviluppi della contesa. Ma negli anni Sessanta, quando l’Iran era divenuto una forte potenza regionale, e l’Iraq era stato indebolito da diversi colpi di stato, l’Iran approfittò della debolezza politica irachena prima inviando una delegazione in Iraq appena dopo il colpo di stato del Ba’th nel 1969 e, quando l’Iraq si rifiutò di partecipare a dei negoziati per un nuovo trattato, l’Iran abrogò il trattato del 1937. Quindi, mise ancor di più sotto pressione l’Iraq sostenendo i ribelli curdi nel nord. L’Iraq fu così costretto a cedere alle richieste iraniane concernenti lo Shatt al-Arab, in cambio della promessa iraniana di cessare il suo supporto ai ribelli curdi[9].

Ciò condusse al Protocollo di Algeri del 1975, dove per la prima volta il thalweg veniva riconosciuto come il confine tra i due paesi lungo l’intera lunghezza dello Shatt al-Arab.

Ma cinque anni dopo, il 17 settembre 1980, l’Iraq abrogò improvvisamente il Protocollo di Algeri a seguito della Rivoluzione Islamica in Iran.

Nel suo discorso all’assemblea nazionale, Saddam Hussein dichiarò che la Repubblica Islamica dell’Iran si rifiutava di osservare le clausole del Protocollo di Algeri e, quindi, l’Iraq avrebbe considerato il protocollo come senza valore legale.

Inoltre, Saddam Hussein dichiarò nello stesso discorso che l’intero Shatt al-Arab era stato attraverso i secoli arabo iracheno, e che si doveva ristabilire l’autorità irachena su di esso. Cinque giorni più tardi, l’Esercito iracheno attraversava il confine (v. Pārsādust, 1990b; Anvari Tehrani, 1993).


[1] Dekker e Post, p. 84.

[2] Menashri, p. 157. Partito Islamico della Chiamata, gruppo militante sciita iracheno propugnante la creazione di uno stato islamico in Iraq, e appoggiato dagli islamici iraniani.

[3] Keesings, 1980, p. 609.

[4] Dessouki, p. 2.

[5] Balta, p. 102.

[6] Pipes, p. 23.

[7] Grummon, p. 3.

[8] Abdulghani, p. 116.

[9] Ismael, p. 20

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