Attualità Cultura

Una fiamma viva!

29 Marzo 2020

Una fiamma viva ai piedi di un crocifisso ligneo, spettatore di tragedia e fratellanza, dall’incendio di Roma alla peste, finendo con il giubileo del 2000. Il volto sereno, cadente verso il basso, come si conviene al dolore della passione e un corpo consumato, impreziosito da un drappo dorato, rendono il Cristo l’immagine eloquente del momento che gli spettatori muti stanno vivendo. Sotto una fredda pioggia avanza claudicante il Papa, il volto serio rivolto a terra, un cielo grigio, una piazza deserta. Accolto dal cerimoniere si avvicina alla sedia preparata per la lettura della predica. Accanto al Cristo c’è Maria, Salus populi Romani, incapsulata nella teca di plexiglass per sfuggire alla pioggia, invocata nella disperazione di minacce improvvise, come ricorda Livio.

Piazza San Pietro con il suo abbraccio stringe il mondo della cristianità intorno al Papa che si riscopre Vescovo di Roma e guida spirituale di una comunità, ora raccolta e probabilmente credente, in preghiera per la salvezza propria e quella dei propri cari. Papa Francesco per combattere la paura del virus e della morte, per accendere la speranza e riempire il vuoto della solitudine ricorda le origini, anche nelle scelte lessicali, nel menzionare l’importanza degli anziani, la profondità delle radici e l’esistenza della comunità. La comunità, la famiglia, la fede, la sola speranza lontano dal superfluo, dal futile, stretta nel caldo abbraccio della preghiera, “un servizio silenzioso, un’arma vincente”. Tornano ad essere naviganti i fratres cristiani, guidati dal Cristo Nocchiere, immagini redivive e sempre coinvolgenti. L’odore di incenso che si libra nell’aria e viaggia nella virtualità, disattendendo, unico, le norme di confine a esempio di un universalismo ancora possibile, concede infine la benedizione Urbi et Orbi. Al di là del credo, al di là delle partigianerie, in quella piazza il silenzio irreale era più rumoroso di tante domeniche sante, in cui quello spazio era occupato da una folla festante e curiosa, da turisti e fedeli un po’ per caso un po’ per convinzione. Nella semplicità di un rito su un fuoco inestinguibile si sono bruciati finalmente i brandelli della cultura narcisista e positivista e si è sentito il bisogno impellente del sacro, che vive in noi e al di là di noi, che permea la natura e la vita, che esiste anche quando tutto intorno crolla, in piedi finanche tra le rovine di Wall Street e i disastri politici e le morti inspiegabili e un virus infinitamente piccolo e strenuamente forte. Quel sacro che fa della nostra stessa ragione un’appendice di una unità superiore e di noi solo dei frammenti di eternità.

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. 
 Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
 Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!».  Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
 E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». (Marco 4, 35-41)
In questo modo, la preghiera è accompagnata dalle parole del Vangelo, pur in una sera di pioggia si tiene accesa la fiamma della fede.

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