Attualità Mondo

La mancata “italofonia” nel mondo!

8 Settembre 2020

di Adolfo Durazzini

“Ei fu, percosso, attonito, stette a mirar le orde in fuga disperata battere in ritirata seguite dai suoi Ras…”

Questa non è la poesia di Manzoni, questa è una canzone, una semplice canzone che se ne ispira ironicamente. Ci vuole tanta ironia e non cinismo, a seguire questo mondo, sì, fatto di tante parole e costruzioni e decostruzioni, e identità e tanti “volemosse ‘bbene” ma tanta, e dico tanta, ipocrisia.

Così nel 1935, lo spirito avventuriero e goliardico di una certa Italia (sic) partita con l’Achille Lauro e tante belle navi per sbarcare indigeni italici, nella fattispecie, terroni allegri e moretti con la veemenza dei loro avi, e tanti veneti, lombardi, già pronti a zappare la terra altrui. “Tornate ai campi, mascalzoni!!!” Di giovani italiani che oggi vogliono raccogliere i pomidori non ce ne sono più, facciamo fare il lavoro ai neri, ai gialli, ai rossi, boh, insomma a qualcun altro che sia sotto pagato e mal istruito, come del resto lo sono i capò di quella forma di schiavismo tanto denunciata da Diego Fusaro e da tanti commentatori di filosofi ormai sepolti. Ma questo “turbocapitalismo”, questa “glebalizzazione”, di chi la colpa? Ma avanti un altro, che daremo la colpa sempre al vicino, al prossimo: il governo mal gestito, la sinistra, la destra, i filosofi, il vicino di casa che si fa le canne, ma non è mai colpa di chi dà la colpa. In verità, lo sproloquio che faccio cesserà nelle prossime righe, non voglio tediare nessuno e offendere, tanto meno con la penna, nessun Samurai in goguette che si presenterà sotto la porta mia in qualità di “Lei non sa chi sono Io!”.

Mi prenderò per Dante! Beh che c’è, direbbe Totò, voi vi prendete per filosofi, e io non posso prendermi per il Sommo? Invettiva agli italiani! Ma sì, sempre gli stessi cialtroni siamo, limitati nel tempo e nello spazio da una geniale conformazione cerebrale che ci vuole meno scimmia di quanto un cane possa essere gatto. “Secoli addietro eravamo forti e rispettati!” Ma quando? Signori miei, voi siete la feccia che ha sempre infangato gli Eroi, i Santi, gli avventurieri e scienziati, nati per Destino o per sfortuna, nella Saturnia Tellus, o Hesperia che dir si voglia! No, ma esagero forse, sono un estremista e faccio di tutta l’erba un fascio! “Ebbasta con sta erba un fascio!”

Ah sì? E chi ha vilipeso Cola di Rienzi, Federico di Svevia, Giordano Bruno, Ficino, Campanella, e tanti altri italici? Chi ha trasformato il bagatto in appeso a Piazzale Loreto? Chi invidiava gli inglesi e i francesi, e ce ne vuole di coraggio, imitandoli nei Beach club coloniali con tanto di sigaro e wunderkammer? Chi ha voluto dare l’immagine di un Impero relegato ad una bandierina sul Tukul in mezzo ad un deserto? Siete voi! Io accuso, accuso gli italiani di non essere italiani, di essere immemori, stupidi, invidiosi e insidiosi! Limitati contro natura, salitori di carri di vincitori perennemente attaccati allo sproloquio, alla scarsità di presenza, alla follia non creativa, quella è appannaggio cari Signori, di pochi Eletti! Voi siete stupidi, e in quanto ignoranti pure cattivi, ignorate il Bene e fate il male, continuamente senza forse rendervene conto. Seguite mode, spauracchi, e gli stranieri son lì a ricordarvi che oltre a Jesolo e ai calzini bianchi dei tedeschi simpaticoni, avete anche avuto Cesare, Augusto, Mantegna e il Vasari. Ma voi che siete stupidi non ve ne frega un cavolo, prendendo il motto spregiudicato e schietto come massima per scusare la vostra stupidità congenita.

Doveva essere uno sfogo, allora rammento una storia. Vi annuncio che nel ’35, dicevo, gli allegrotti italici sbarcavano a Massaua, e di lì un bel viaggio tra montagne alte quanto il Monte Bianco, montagne che rallentavano le truppe italiane dirette ad Addis Abeba! Tra Massaua e Addis, mah, direi circa 1000 chilometri, tra Mogadiscio e Addis, mah direi circa 1100 chilometri. Che fortuna! Gli italiani, presenti sia a Mogadiscio con Graziani, che a Massaua con Badoglio, avevano l’imbarazzo della scelta: crepare eroicamente tra i monti del Tigrai, con la massima caporettiana di “è sempre bello farsi sparare a distanza da un etiopico mentre carichi il mulo come i nostri zii della prima! Ah, tradizioni!”; o semplicemente dare a Graziani il gioco, lui che da Mogadiscio doveva fare solo una pianeggiante regione dell’Ogaden fino ad Addis, risultato: meno morti, più veloci, più prestigio, però meno martiri! La verità è che il Comando Supremo e Badoglio, volevano l’arrivo vittorioso e simbolico di quest’ultimo, per le solite gelosie, invidie e discordie da “cortile”. Insomma, c’è un’Italia intelligente, che non imita, non insidia e crea genialità, e un’altra che fa il contrario.

“…ah sì allora siamo noi, i nostri politici, quelli di sinistra, no, anche quelli di destra (è la stessa roba aggiungo, il vero nemico è “liberalski”, “globalizazia”).”

Ciò mi porta a commentare la chiusura dell’Istituto onnicomprensivo italiano di Asmara, chiusura non ancora esplicata ufficialmente dalla Farnesina, che riporta la colpa presso Asmara: la “colpa” sarebbe stata quella di non aver rinviato in tempo il modulo di rinnovo (mai avvenuto prima) della presente istituzione italiana. Insomma, gli “operatori” italiotti, avrebbero mandato agli eritrei (che tacitamente secondo gli enti nostri non conoscono abbastanza bene l’italiano) un plico burocratico stile rinnovo contratto luce e gas, e per mancata fortuna non hanno risposto in tempo e hanno tagliato la luce! Allora, fermi, questo trapela in modo sottufficiale e la ragione della chiusura starebbe nel recente trauma tutto italiano che è stato il Covid-19, questo personaggio non ha voluto rinnovare il contratto con il cliente eritreo. Comunque, il liceo, fondato per l’appunto nel 1935 (come quello di Parigi, dove il sottoscritto ha frequentato le scuole superiori), il liceo italianissimo di Asmara, con programma ministeriale identico, lo rammento sempre perché qualche “amministratore” de noantri non sa bene queste cose, ha dato vita ad una continuità prestigiosa della nostra lingua e cultura in un Paese, l’Eritrea (lo ricordo sempre per gli “amministratori”) che ha forti legami con l’Italia, e poi diciamocelo, che bello è un Paese che non ha come seconda lingua l’inglese? Bene, oggi tutto ciò è finito, viva l’Alliance Française, l’Institut de France, la rete francofona e il British Institute. Ma gli italiani, anche in Farnesina: “ma chi se ne frega? Ma so quattro neri! Ma chi se ne frega che parlino l’italiano e non l’inglese, e poi tanto l’inglese è la lingua del mondo!”. E allora lasciamoci fare sempre, ci prendono un po’ di mare, va bene, ci prendono il Colosseo, va bene, ci prendono un liceo… ah no, siamo sempre noi ‘tagliani a farlo, è colpa nostra e non di Albione, Trump, “abbiamo perso la guerra”, ah sì allora siamo noi, i nostri politici, quelli di sinistra, no, anche quelli di destra (è la stessa roba aggiungo, il vero nemico è “liberalski”, “globalizazia”).

“…come Pio Filippani Ronconi sentiva di dover fare quando, da italiano “esule” in Spagna, rammentava a se stesso e al mondo la propria romanità, quindi eurasiaticità, passatemi il termine.”

Nei licei all’estero, i giovani, oltre a imparare l’italiano e a rammentare la propria memoria italiana in un diverso Paese, si creavano una forte identità italiana e romana. Così, per chi cresce a Parigi, in Francia, ricordiamolo sempre agli “amministratori”, è palese gridare a squarcia gola la propria identità italica, a suono di “Lutetia, sei Nostra!”. Ci si forma e si fa quadrato da italiani all’estero, non di quelli che nascondono le schede di Forza Italia nei Consolati, no, quelli son i sindacati, parlo degli studenti, la militanza che partiva per molti dall’affermare la propria italianità, la propria romanità, come Pio Filippani Ronconi sentiva di dover fare quando, da italiano “esule” in Spagna, rammentava a se stesso e al mondo la propria romanità, quindi eurasiaticità, passatemi il termine. L’italianità all’estero, rivela la propria vera natura, di Patrizio o di Plebeo, ma nei due casi è sempre una bella rivelazione, impossibile, o quasi, nell’italietta di oggi, che non vuole fare rima con “baionetta”, che non vuole “i-tagliare” come direbbe Vattani! La rete di Istituti italiani all’estero dipendeva, e dipende tuttora, dal Ministero degli Affari Esteri. L’idea era cresciuta nelle menti di validissimi personaggi del Ventennio, i quali ebbero a cuore la formazione politica, e culturale soprattutto, dei giovani italiani e non italiani all’estero. Questa rete prese forma assieme alla Società Dante Alighieri e alla rete delle Case del Fascio, in un periodo dove si faceva ancora cultura. Rammentare l’italianità era rammentare la romanità propria ed eventualmente di altri popoli, rimane una questione di prestigio, di soldi, di politica buona, e di Sommo Bene, direbbe Arturo Reghini, quando pensava ad una presunta superiorità dell’Idea “Italia” nel mondo, vincere non con l’oro, non con la forza sola dei cannoni, ma con quello di cui abbiamo stima, vale a dire quello che possiamo misurare e con il quale ci possiamo misurare: la cultura e il pensiero.  Allora smettiamola di dare la colpa agli altri, prendiamocela sta colpa, una volta per tutte, ammettiamo di essere un Paese di traditori e stupidi ignoranti, logorati dal liberalismo, di gente che si suicida perché ha perso il lavoro, perché il lavoro è tutto, “arbeit macht frei”, e la cultura e la memoria non sono niente, o forse l’appannaggio di quattro pagliacci che si danno del “filosofo”.  Alla base della politica, di una vera e buona politica, non ci può essere che un valido pensiero. Questo crea materia: una Ferrari diventa tale perché è stata pensata! Se un pensiero è qualitativamente eccelso, esso costruirà civiltà; se questo fosse cattivo, abbruttito, falso quindi non verità, direi che metterebbe la “società” nelle condizioni di decostruire, di sfaldare. L’Italia in particolare è un Paese senza memoria, quindi senza cultura, quindi senza pensiero dottrinario valido. Possiamo vantarci di avere un patrimonio culturale, ma a che serve se esso non vive nelle genti? E la scuola ha questo sacrosanto obbligo morale di trasmettere cultura, memoria, educazione, per creare cittadini veri, anzi, uomini e donne di un certo tipo. Se questo non fosse presente in Politica, allora questa non può definirsi tale, quandanche nelle sue forme apparentemente legate a forme tradizionali. Perciò, non c’è da domandarsi il perché dell’esistenza e del mantenimento di Istituti italiani all’estero, e della presenza italiana all’estero, quella che non si accontenta della pizza e dello spago cacio e pepe. Si difende una trincea ovunque, e se si ha tempo, si mettono vasi e fiori in essa! I nostri politici di che parlano? Dei bisogni dei cittadini! Ma di che parliamo? I bisogni? Fino a quando la politica non sarà educativa, non partirà dai cuori, dalla Provvidenza, da una dottrina valida, allora non può esserci un progetto che tenga, né nel piccolo, né nel grande. Siamo in attesa di un Salvatore, ma forse è il Salvatore che è in attesa di un popolo, o di una comunità. La forza centripeta nella quale l’Italia e l’Occidente tutto stanno finalizzando la propria esperienza storica ci deve far riflettere sull’importanza dell’Azione, frutto di un pensiero valido e meditato, nessuna trasformazione esterna è possibile se questa non è avvenuta prima dentro.

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