Attualità Giustizia

Carceri, diritto alla salute e incostituzionalità del carcere ostativo. 1/3

13 Febbraio 2021

Intervista all’avv. Monica Moschioni. Introduzione e quesiti di Antonella Ricciardi.

Conciliazione necessaria tra sicurezza individuale e collettiva, costruzione concreta dello Stato di Diritto, contro ogni discriminazione aprioristica tra detenuti e detenuti, l’emergere di stati più elevati di coscienza, per sensibilizzare verso diritti umani universali: sono questi ed altri i temi di questo dialogo con Monica Moschioni. Avvocata di Parma, è particolarmente ispirata, grazie alla sua limpida logica, espressa con dolce veemenza, nel rendere l’esecuzione penale conforme ai principi di umanità della Costituzione. Tra i molti casi dei quali la dottoressa Moschioni si è occupata ricordiamo, tra l’altro, quello di Michele Pepe, deceduto purtroppo ancora giovane, in circostanze da chiarire. Si rimarca anche quanto numerosi siano anche i casi di detenuti “parcheggiati”, anche stabilmente, in un centro clinico dipendente dal carcere, oltre che in qualche centro di cura esterno: come differimenti non ufficiali; si tratta forse di una via “intermedia”, tra timori sulla sicurezza collettiva di diversi magistrati, e subentrare del dovere di cura dei medici. Viene esaminato soprattutto il caso di Parma, ma diversi sono i casi di persone, alle quali, in alcuni casi, non è stato tolto il 41 bis, non è stato dato differimento ufficiale della pena, ma sono in strutture diverse dal carcere, per seri problemi di salute: un caso emblematico tra i vari (pur non compreso tra quelli seguito dalla Moschioni), è quello di Vincenzo Stranieri, ex boss della Sacra Corona Unita, da anni una “casa di lavoro”: una fattoria in cui è confinato; Stranieri ha perso la libertà dal 1984, nonostante non abbia ergastoli e non abbia commesso omicidi. Tornando all’approfondimento con l’avvocatessa Moschioni, è importante ricordare che ha collaborato con il collega Gaetano Aufiero, sostituendolo temporaneamente per una udienza su eventuale differimento della pena, riguardo il caso di Raffaele Cutolo. La vicenda  rimane nota, sia per il passato famoso, che per alcuni sviluppi più recenti: qualche anno fa, una petizione di 100.000 persone aveva chiesto gli arresti domiciliari per Raffaele Cutolo, in una villetta al Nord: persone che non sono certo parte della Nuova Camorra Organizzata, ormai non più attiva, e che aveva contato al massimo 7000 effettivi; si tratta piuttosto di una fetta della società civile  che chiedeva una attenuazione dell’intensità della pena, in un caso che era risultato estremo per durata della detenzione: un tentativo di non aggiungere male al male. Del resto, è possibile spesso avvicinare alle istituzioni con lo Stato di diritto, e non con la pura repressione, che può invece, spesso, generare proprio disprezzo per autorità non sempre rispettose della legalità stessa e dei principi costituzionali. Tornando a sviluppi ancora più recenti, l’avvocato Gaetano Aufiero è sempre, naturalmente, attuale difensore di Raffaele Cutolo: ha promosso ricorso in Cassazione contro un no alla revoca del 41 bis, in ottobre, oltre a portare avanti un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, al fine di far sì che l’Italia riconosca benefici anche senza collaborazione con la giustizia. Più volte, la Corte di Strasburgo aveva dato ragione a singoli detenuti contro la negazione automatica dei benefici; inoltre, in Italia, la sentenza numero 259 della Corte Costituzionale (Consulta), del 2019, aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 4 bis, che vietava benefici, quindi attenuazioni del grado di attuazione della pena, senza collaborazione; il criterio fondamentale doveva essere semplicemente l’interruzione dei contatti con la criminalità: in quei casi, anche in caso di ergastolo dovrà essere possibile un parziale ritorno alla libertà, dopo 26 anni di carcere espiati. Il dialogo con Monica Moschioni è utile, comunque, anche per capire meglio alcuni aspetti attuali della situazione dell’ex boss della Nuova Camorra Organizzata, che in carcere era molto deperito, fino ad un tracollo nel 2020: Raffaele Cutolo era detenuto dal 1963, con pochi periodi di libertà, ed ininterrottamente dal 1979. Nel momento in cui era stato visitato in clinica, Raffaele Cutolo era in stato soporoso: un’alterazione dello stato di coscienza e dei meccanismi di sonno e veglia; le cause di ciò non sono sempre certe, ma a volte si registrano  in casi di interazioni non sempre positive con psicofarmaci e in situazioni di deprivazione sensoriale; nei fatti, la presenza di vetro divisorio per i detenuti al 41 bis, a volte per decenni, con coloro che li visitino (tranne che i propri avvocati e per minori di 12 anni), porta spesso i prigionieri a problemi legati a tale alienante deprivazione, dato il quasi totale annientamento della possibilità di  contatto fisico con gli altri. Successivamente vi sono stati alcuni miglioramenti, solo grazie alle cure esterne, ma l’incompatibilità con il carcere emerge dai fatti e permane. La domanda di differimento della pena, nel settembre 2020, era orientata affinchè tale pena potesse essere scontata in luogo diverso dal carcere: ad esempio, in una casa, o casa di riposo, o centro di cura; tale domanda non è stata ufficialmente accolta dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna (presidente Antonietta Fiorillo, a latere Marta Vassallo, coadiuvate da degli esperti), territorialmente competente  nonostante le condizioni di evidente bisogno di cure, e la motivazione consisteva nella considerazione che la situazione non sarebbe cambiata rispetto ad un primo ricovero ospedaliero, di febbraio-marzo 2020, e che lo stesso Raffaele Cutolo fosse ben curato anche attualmente, proprio in un centro esterno alla prigione. Eppure, proprio la considerazione che le cure fossero necessarie, può confermare le posizioni portate avanti dalla dottoressa Moschioni, poichè solo un centro esterno al carcere può garantire cure ed assistenza più specialistiche. Nei fatti, Raffaele Cutolo, considerato non dimissibile, rimane in un centro sanitario di cura, esterno al carcere: una situazione che si sta stabilizzando; proprio le valide cure nel centro sanitario esterno rendono evidente che una sistemazione adeguata debba essere definitivamente esterna alle più limitate possibilità di assistenza di una prigione… Cure talmente primarie, che hanno evitato un precipitare della situazione, per cui neanche la difesa si oppone attualmente alla permanenza in tale struttura; peraltro, l’accoglimento in un centro del genere era stato proprio richiesto meritoriamente ed ottenuto, a suo tempo, anche dall’avvocato Gaetano Aufiero; diversa la valutazione sul 41 bis, mantenuto (per disposizione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, con competenza accentrata) perfino all’esterno del carcere, e ritenuto dalla difesa  del tutto ingiustificabile, dato il non rispetto dei fatti, in merito all’impossibilità di contatto con una organizzazione deviante che non esiste più, alla dichiarata chiusura con la camorra già da decenni, ed all’avere ignorato nei fatti la sentenza della Corte Costituzionale.

“Si è occupata di numerosi casi relativi alla tutela della salute dei detenuti, per il rispetto del diritto e dei diritti. Sicurezza collettiva ed individuale non devono essere in contrasto, sul piano dei principi, ma in che percentuale pensa vi sia realmente tale conciliazione di esigenze, per la sua esperienza personale, e forse in generale?”

 “Allora, per la mia esperienza, è molto relativo, per la tipologia del detenuto, e per i luoghi: come molti altri detenuti, esercito non solo a Parma, in diverse ragioni. Il carcere di Parma, poi, ospita una tipologia di detenuti un po’ particolare: nel senso che abbiamo detenuti di alta sorveglianza, classificato con AS1, AS3, e poi la tipologia del 41 bis. Rispetto a loro, abbiamo anche quelli nel Sai, il vecchio centro clinico: è per detenuti con patologia, vi vengono mandati detenuti da tante carceri italiane…se parliamo di detenuti con una caratura criminale elevata, considerati dalla Direzione Nazionale Antimafia di un certo tipo, che per tali informative rappresentano un rischio per la sicurezza, e con una percentuale di “scorrimento” chiaramente è  molto più bassa. Poi ci sono detenuti del sistema di media sicurezza, quindi del circuito per reati comuni, quindi per  non per reati associativi, o reati collegati; per reati associativi, quindi, l’incidenza è molto maggiore. Il carcere di Parma è un ambiente particolare, però, devo dire. La mia esperienza non è stata particolarmente felice; l’avere individuato per questo carcere anche un centro clinico, anche per le cure per detenuti, soprattutto nella diagnosi iniziale, con condizioni croniche, sia per detenuti EIV [elevato indice di vigilanza, n.d.r.], che comuni, che del 41 bis, si presuppone che debbano essere strutture in grado di fornire tutta la gamma di terapie: anche intensive, anche di lunga durata. Oggi stesso (vorrei fare un esempio senza dilungarmi), ero in Tribunale di sorveglianza, per la discussione di alcuni fascicoli relativi a miei assistiti: alcuni sono di media sicurezza, quindi per reati contro il patrimonio: parlo di furti, furti aggravati, e rapine, e reati invece di associazione, in esecuzione pena, per il 41 bis.”

 “Questi ultimi, diciamo, contro la sicurezza dello Stato…”

“Ad alta sicurezza. Ecco, in questo caso la valutazione da parte del carcere è molto differente: per detenuti che espiano questi reati, hanno molta più attenzione alla sicurezza che a quella che dovrebbe essere la tutela della salute: contrariamente a quello che sarebbe il disposto normativo del nostro ordinamento penitenziario, che prevede una tutela del diritto alla salute indipendente dal tipo di reato che si sta espiando, che deve essere indipendente, in teoria, dal fatto che si sia dissociati da un certo tipo di reato.”

“Il diritto alla salute deve essere inalienabile…”

“In effetti, il diritto alla salute è riconosciuto costituzionalmente, per tutti i cittadini, indipendentemente se sia cittadini che stanno espiando una pena, quindi le esigenze di sicurezze non dovrebbero collidere, ecco, con la cura.”

“Credo poi che misure di sicurezza ci possano, ci debbano essere anche nel centro clinico, per conciliare le esigenze”.

“Il centro clinico, per come è stato previsto dall’amministrazione penitenziario, dovrebbe essere una sorta di contenitore autosufficiente, cioè dovrebbe essere in grado di ospitare i detenuti che hanno necessità di una diagnosi, e fornire le cure, per poi trasferirli, eventualmente, in centri specializzati, in reparti ospedalieri, che non sono compresi nelle amministrazioni penitenziarie, o in detenzione domiciliare. Quando sono nel centro clinico, chiaramente, sono rispettate tutte queste esigenze di sicurezza. Il centro clinico nei fatti è un’ala del carcere, con tutte le misure di sicurezza: la polizia presidenziale, le sbarre… Gli stessi detenuti, nell’ambito del centro clinico, dovrebbero godere semplicemente di una presenza costante del servizio infermieristico e del servizio medico. L’unica differenza, rispetto ad una detenzione ordinaria, è che non c’è la visita a richiesta, ma dovrebbe esserci un presidio medico, un presidio infermieristico, costante: h 24, quindi è per persone non autosufficienti, detenuti in carrozzina, o che hanno delle tetraplegie, e così via, perchè ospitiamo appunto una sezione di minorati fisici, con situazioni croniche, per cui necessitano costantemente di un’assistenza. Si tratta di assistenza di vari tipi, anche dalla pulizia della cella, alla doccia, alla propria igiene personale… Il punto è che poi ci si scontra con le carenze organiche, e con le esigenze del personale. Finchè  i detenuti rimangono in un  carcere come quello di Parma, la sicurezza è la maggiore esigenza tutelata; detto questo, riescono però ad avere delle cure specialistiche. Faccio un esempio: la fisioterapia, che dovrebbe essere una delle motivazioni per le quali  vengono portati a Parma, può essere richiesta, ma noi non abbiamo un fisioterapista fisso, che sia in grado di dare un’assistenza quotidiana ad un detenuto con una certa patologia neurologica, che dovrebbe avere una medicazione quotidiana, per mantenere un minimo di autonomia. L’indicazione della concreta amministrazione penitenziaria è un po’ diversa dalle prescrizioni generali, teoriche… Questa è una questione anche di capacità economica: di fondi che vengono stanziati, questo è il problema”.

“Certo, suppongo comunque che essere curati in questo centro clinico sia meglio che essere curati nell’infermeria del carcere: che sia un passo ulteriore…”

“Il centro clinico, quantomeno, garantisce quantomeno la presenza di infermieri e medici in modo continuativo, h 24, per cui l’eventuale emergenza potrebbe essere risolta con maggiore rapidità: non significa, però, che tutto possa essere risolto all’interno del carcere. Per questo motivo, molti detenuti devono fare riferimento alla struttura ospedaliera più vicina: parlo di un ospedale civile, che principalmente è il punto di riferimento dei detenuti, oltre al centro clinico…perchè ha una sezione, un reparto detentivo, e quindi degli ambienti ospedalieri controllati, che sono garantiti all’interno della struttura ospedaliera pubblica, nei quali possono appunto ottenere le cure dai sanitari stessi. Sono quindi equivalenti a celle, in regime di  sicurezza, ma hanno le stesse caratteristiche fisiche delle stanze ospedaliere, però sono isolate dal resto della struttura ospedaliera, senza contatto col resto, ma possono essere raggiunte agevolmente da medici, infermieri, Oss, che fanno servizio per quell’area…; però la differenza è l’intervento più rapido del medico, che potrà poi smistare il detenuto bisognoso di cure più urgenti, per una diversa terapia, per una cura farmacologica, o fare una visita per una eventuale problematica nuova, o rimodulare una terapia… Del resto, purtroppo il carcere di Parma è diventato purtroppo una sorta di “cronicario: lo dico con un termine un po’ crudo”…

“Può darsi che a volte, invece di dare un differimento ufficiale, molti vengano “parcheggiati” in qualche centro, dipendente dal carcere, e non solo?”

“Vengono parcheggiati lì, in queste circostanze. Ci sono comunque caratteristiche differenti tra la situazione a Parma e, ad esempio, il carcere di  Milano Opera, che credo possa approfittare di una ricettività di di strutture ospedaliere esterne lombarde maggiore, perchè Milano per fortuna ne ha molte, più specializzate e molto migliori, maggiori. Il carcere di Parma ha queste caratteristiche un po’ di “stagnazione” , con il centro clinico, dove si rimane, con assegnazione di un posto letto, per un lungo periodo. Per sua natura, invece,  quando è stato studiato questo reparto, centro clinico, avrebbe dovuto prevedere una turnazione, cioè si tratterebbe di una diagnosi, di una individuazione di una terapia, di un apprestamento di cure specialistiche, e poi un rientro nella sezione ordinaria. Questo dovrebbe essere l’iter: è come andare in pronto soccorso, è come se si andasse parcheggiati in pronto soccorso per un lungo periodo; uno ci dovrebbe andare semplicemente per avere un intervento urgente. In questo momento, il problema parmense è avere un  numero di persone che non si spostano da questa struttura, per cui evidentemente c’è un difetto…  La sua natura doveva essere quella, doveva essere una nuova sezione detentiva, nella quale  si andava a trascorre la propria detenzione, e non necessariamente porta ad un miglioramento della condizione clinica, perchè, se si rimane in quel contesto, semplicemente si ha un monitoraggio un po’ più frequente. Per un detenuto al centro clinico, magari, la visita è quotidiana… E se ci sono delle emergenze, viene segnalato all’igiene pubblica ed alla salute pubblica, alla sanità pubblica, per andare, ad esempio, a fare un accertamento strumentale maggiore. Il problema è che abbiamo delle liste d’attesa, proprio perchè è diventato un modello di cronicario, con  una lista di attesa molto lunga, con posti limitati.  L’ultima lista di attesa, del nostro garante locale, portava una lista di attesa di 150 detenute, cioè persone venute da altre strutture penitenziarie, che dovrebbero essere collocate fisicamente nella struttura al centro clinico, ma poichè i posti sono esauriti, sono attualmente nella sezione ordinaria, e accedono semplicemente alle visite mediche, all’interno del centro clinico. Non è la stessa cosa: è una situazione in cui occorre sempre chiamare il medico, per potere avere l’intervento; chiamare da una sezione all’altra significa aprire i cancelli, avere un agente che intervenga, che si accorga dell’urgenza, che effettui la chiamata; quindi, faccio un esempio: un cardiopatico, se dovesse avere un evento urgente, nel cuore della notte, se collocato in un’area ospedaliera, potrebbe avere un intervento immediato, in pochi minuti. Se fosse invece collocato in una sezione detentiva ordinaria, invece che al centro clinico, potrebbe invece attendere per 20 minuti, prima avere un  intervento.”

“Bisognerebbe prevenire, sapendolo”

“Infatti; potrebbero essere anche i tempi che fanno la differenza tra un intervento tardivo e non. Facciamo invece l’esempio di una persona, ridotta in carrozzina, per  effetto di una patologia degenerativa neurologica: a quel punto, in caso di necessità di intervento, la differenza non è così eclatante, perchè potrebbe esserci una sensazione di dolore, che si protrae  per giorni, ma l’intervento tardivo non va ad incidere sulla possibilità di decesso. Questo è il problema”.

“Può darsi, a suo avviso, che questa tendenza a parcheggiare in centro clinico sia frutto di una tendenza alla remora nel dare differimento, chissà? Forse remore per motivi di sicurezza, forse un po’ troppo in primo piano.”

“C’è stato questo tipo di involuzione. I magistrati, sulla sicurezza, sono stati più orientati a mantenere la prigionizzazione, a mantenere i detenuti, soprattutto di certi regimi, e quindi con una certa pericolosità sociale, all’interno del carcere: quindi sì, può essere”.

“Però la legalità è anche garantire la salute, il carcere non deve diventare luogo, in qualche modo, di illegalità, e la sicurezza deve essere sicurezza di tutti…”

“In realtà la Corte di Cassazione è intervenuta più volte nell’annullare con  rinvio le ordinanze di magistrati di sorveglianza, ed anche di magistrati di Bologna, stabilendo che il rispetto del diritto alla  salute passi non solo attraverso la totale incompatibilità con la detenzione, ma anche nell’ipotesi in cui non siano state apprestate tutte le cure, di cui il malato avrebbe avuto bisogno, o alle quali avrebbe potuto accedere, se si fosse trovato in una situazione non detentiva. Non necessariamente devono essere disposte misure alternative al carcere, quindi misure extramurarie. Un’altra possibilità è la permanenza in strutture ospedaliere, insomma, centri sanitari, perchè non necessariamente si arriva alla detenzione domiciliare, a casa propria. Su ciò c’è una grande ambiguità, soprattutto in termini di comunicazione pubblica”.

“Si può disporre misura alternativa anche in una casa di cura: qualcosa di intermedio: non piena libertà, ma qualcosa di più morbido rispetto al carcere.”

“Infatti: detenzione domiciliare non vuol dire solo andare a casa propria. A volte, la propria abitazione potrebbe non essere la soluzione corretta, per condizioni di salute gravi. Ci può essere una struttura ospedaliera, a volte anche una struttura privata, una struttura convenzionata, accreditata, che fornisca la possibilità di ricevere quelle cure che purtroppo, in carcere, non sono possibili. A volte l’equivoco con la comunicazione è anche questo: credo che il grosso equivoco che c’è stato, soprattutto nel periodo, diciamo, “covid”, il periodo dell’emergenza sanitaria, che poi ha determinato, secondo me, delle storture,  con dei decreti, per cui sono intervenuti con dei correttivi, a mio parere inidonei a fronteggiare la situazione. L’impressione è che i detenuti venissero ammessi alla libertà, come se venissero beneficiati di un regalo, e che fossero liberi di scorrazzare…”

“C’è stata quindi una comunicazione errata”

“Esatto. In realtà, non era questo”.

“Una comunicazione con delle carenze, con delle omissioni”

“In realtà, le richieste non erano queste, ma neanche i provvedimenti che sono stati emessi, perchè nei provvedimenti che ho potuto visionare io (ma probabilmente nella totalità dei provvedimenti) , emessi dal magistratura di sorveglianza, dagli uffici di sorveglianza, in via provvisoria,  o in via definitiva, dei Tribunali di sorveglianza territoriali, collegiali, erano dei provvedimenti che, spesso e volentieri, stabilivano dei collocamenti in strutture ospedaliere, o che stabilivano dei collocamenti a casa, per l’accesso continuativo alle cure per le strutture ospedaliere, quindi non era libertà dall’esecuzione della pena: ci sono delle prescrizioni, delle indicazioni specifiche, la possibilità di muoversi sul territorio, in alcuni casi  solo con l’accesso a cure ospedaliere, quando il carcere non sia in grado di fornire.”

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