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Rabindranath Tagore: anti-nazionalista?

28 Febbraio 2021

di Giorgia Durigon

“I am not against one nation in particular, but against the general idea of all nations. What is the Nation? It is the aspect of a whole people as an organized power. This organization incessantly keeps up the insistence of the population on becoming strong and efficient. But this strenuous effort after strength and efficiency drains man’s energy from his higher nature where he is self-sacrificing and creative. For thereby man’s power of sacrifice is diverted from his ultimate object, which is moral, to the maintenance of this organization, which is mechanical.”

Nationalism di Rabindranath Tagore fu pubblicato per la prima volta poco più di cent’anni fa, nel 1917, comprende dei discorsi tenuti in Giappone nel 1916 e i restanti tenuti negli Stati Uniti. Infatti, molti passaggi contenuti in questa raccolta sono rivolti direttamente ai cittadini statunitensi e assolutamente significativo fu il desiderio di Tagore di rivolgere il contenuto della raccolta a Wilson, l’allora presidente degli Stati Uniti, esattamente là dove notoriamente la fede nel modello della nazione moderna si potrebbe dire essere totalizzante. Tuttavia, ciò non gli fu permesso poiché si pensava fosse coinvolto nei complotti anti-inglesi condotti dai rivoluzionari ghadariti negli USA.

Ovviamente, il periodo in cui Tagore decide di parlare di nazionalismo è un momento della storia denso sotto vari punti di vista, proprio all’apice più affermativo e più creativo, oltre che drammatico, del modello di Nazione. La prima guerra mondiale era già iniziata e riguardo la situazione in Europa sorgono diversi sentimenti tra gli intellettuali del Subcontinente indiano, Tagore solo raramente attinge direttamente agli avvenimenti della guerra, nonostante ciò è evidente che abbiano scaturito nell’autore sia la scelta dell’argomento che la modalità di trattazione, che definirei un “appello ai cuori”. Sicuramente, hanno mosso in lui l’urgenza di affrontare il tema del nazionalismo.

Secondo Tagore, la prima guerra mondiale rappresenta la prima effettiva guerra tra nazioni, quindi la prima espressione violenta dell’anima astratta della Nazione, così come lui la intende. Il nazionalismo non è trattato dall’autore come caratterizzante di uno Stato o di un popolo in particolare, ma nella sua accezione generale, rivolta al mondo intero che in quel momento storico si trovava ad affrontare un grave scontro di potere tra le diverse nazioni. La fede estrema nella Nazione, rafforzata dalla guerra, rappresenta per Tagore la grave malattia che stava infettando l’Umanità in senso lato.

Nello stesso momento, in India i movimenti rivoluzionari nazionalisti si stavano rinvigorendo, tenendo sempre l’occhio attento rivolto verso la situazione nel resto del mondo. Il Regno Unito non dà alcun segno di voler allentare la presa sulle colonie, anzi la sua azione coercitiva, notoriamente dominata dal motto divide et impera, si accentua ulteriormente.

Nel 1905 era stata resa pubblica la decisione di Curzon, allora Viceré dell’India, di dividere il Bengala in due parti per cercare di ostacolare la sempre più incalzante spinta nazionalista e indipendentista indiana. Questo evento diede l’impulso al movimento Swadeshi, già formato all’epoca della partizione, che inizialmente mise in atto proteste moderate caratterizzate dall’uso di petizioni, incontri pubblici, creazione di pamphlet volti a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento. Quando si esaurì l’efficacia di questo metodo si passò al boicottaggio dei beni di origine inglese, in favore perciò dell’avviamento di industrie locali autonome. Nel frattempo si sviluppa una sezione più aggressiva del movimento che comincia ad utilizzare metodi di tipo terroristico, il movimento così prende una piega estrema, identificandosi sempre di più con le componenti hindu, sulla scia di altri movimenti come quello avviato da Sri Aurobindo e continuato da Bankimchandra, il Anushilan Samiti, e l’Arya Samaj, cui centro era il Punjab.

Secondo la fazione più estremista del movimento Swadeshi, i metodi moderati e diplomatici dell’Indian National Congress, fondato nel 1885, non erano più sufficienti. Intanto, fuori dai confini dell’India anche gli indiani emigrati, rimasti in connessione con la madrepatria, avviarono movimenti rivoluzionari anti-britannici. In particolare, a Londra si sviluppò l’India House nel 1905, cui idea incoraggiava la lotta armata e le attività terroristiche, e negli Stati Uniti poco meno di dieci anni dopo, nel 1913, fu fondato il partito ghadarita.

Tagore fu testimone di tutto questo fervore rivoluzionario e come intellettuale contribuì al dibattito sul nazionalismo e l’indipendenza indiana, è proprio in questo contesto che si colloca Nationalism, pubblicato quando Tagore era già intellettuale di fama internazionale e aveva già vinto il Premio Nobel nel 1913.

L’atteggiamento di Tagore nei confronti del nazionalismo non rimase immutato nel corso del tempo. Si può osservare una prima fase entusiastica nei confronti del movimento Swadeshi e di intenso coinvolgimento nelle politiche nazionaliste, e una seconda fase critica del nazionalismo politico, in particolare quello estremista, ben rappresentata dal saggio qui preso in questione. Tagore non ritratta il suo pensiero, semplicemente si focalizza sull’obiettivo.

Infatti, esordisce riferendosi al processo storico umano dicendo: “[…] man’s history is being shaped according to the difficulties it encounters. These have offered us problems and claimed their solutions from us, the penalty of non-fulfillment being death or degradation”, la storia di ogni popolo quindi risulta essere un processo volto alla risoluzione di una serie di ostacoli, nel caso dell’India sociali, diversi per ogni popolo e cui soluzione deve essere interna al popolo stesso e deve essere considerata come fine ultimo.

Che cos’è quindi il nazionalismo per Tagore?

Prima di tutto, l’autore non discute in negativo l’operato di una nazione piuttosto che un’altra, ma considerando l’analisi degli avvenimenti e la loro natura si scaglia contro l’idea stessa di Nazione moderna. Certamente, in questi termini lo si potrebbe considerare anti-nazionalista, ma di certo non fu contro l’idea di unità sociale e comunitaria di un popolo. Quest’ultima non è semplicemente data dal confronto e scontro con l’altro, piuttosto si tratta di un’inclinazione naturale, data dalla natura stessa dell’essere umano. Tagore intende rompere l’equivalenza nazione-identità, in quanto non è la nazione a determinare l’Essere più profondo di un popolo ma il suo procedere nella storia secondo la propria natura.  

La Nazione è una creazione occidentale e rappresenta un male. Con questo Tagore non intende dire che tutto ciò che è occidentale è da rigettare, anzi riconosce il genio artistico dei molti intellettuali europei del suo tempo, nei quali era ancora tangibile il barlume della moralità e ribadisce che non tutto ciò che è stato portato dall’Europa alle colonie sia stato negativo (senza dimenticare che parte di questi discorsi erano rivolti agli occidentali stessi), a questo proposito, provocatoriamente riporta l’esempio della legge e dell’ordine, che nella concezione teorica occidentale dovrebbero trattare tutti in maniera eguale.

La Nazione però è un male e di conseguenza il nazionalismo è una grave minaccia. Perchè?

“A nation, in the sense of the political and economic union of people, is that aspect which a whole population assumes when organized for a mechanical purpose.”

È perciò un’entità astratta, in quanto non basata sulle necessità umane, che organizza meccanicamente gli uomini, la cui origine sta nel dominio assoluto della scienza e della fede in essa, cui scopo è il potere e la supremazia economica. La fame di prosperità materiale basa il raggiungimento del proprio scopo sullo spirito di conquista, il conflitto e la competizione che creano gelosia, paura della crescita dell’altro. I suoi domini sono l’egoismo e la perdita conseguente di moralità, ciò che un uomo dotato di morale non farebbe mai in condizioni normali, il sistema nazione lo fa diventare un fatto lodevole poiché volto al raggiungimento dello scopo, ovvero l’arricchimento materiale e la supremazia.

A tutto questo è contrapposta quella che Tagore chiama Umanità, ovvero ciò che ci distingue dagli animali. Una società umana non ha ulteriori fini, è un fine lei stessa, “spontaneous self-expression of man as a social being”, il modo naturale di regolare i rapporti tra esseri umani. Al suo interno, gli uomini sviluppano ideali di cooperazione e il lato politico esiste semplicemente per auto-preservazione, collocandosi al suo posto separato nella società in quanto riservata ai pochi del mestiere. Al contrario, la meccanicità insita nella nazione porta alla rottura dei confini e dei legami sociali naturali e l’uomo perde il contatto con la realtà. Così diventa possibile che uomo e donna non riconoscano più i propri ruoli sociali e le loro differenze si appiattiscano, dal momento che l’unico scopo di entrambi diventano il potere e il denaro.

Tagore non supporta né un cosmopolitismo senza colori, né l’idolatria della nazione; piuttosto, sia il nazionalismo inteso come rappresentante dell’anima di un popolo e non come la macchina-nazione. Parlando del caso dell’India dice che la sua missione storica specifica era, ed è, quella di far convivere diversi popoli nello stesso vasto territorio. Lo ha fatto tramite una regolazione sociale delle differenze, le caste, e un riconoscimento spirituale dell’unità. In India, i santi hanno avuto la funzione di collante sociale, le caste di regolatore, le quali però, nel tentativo di riconoscere le differenze le ha cristallizzate impedendo il movimento, che è invece una caratteristica naturale delle società umane. La nazione moderna risolve il problema delle differenze sociali e tra popoli semplicemente ignorandole. Il mondo intero attraverso la scienza è diventato un unico paese e bisognerebbe cercare una base di unità che non sia politica o economica e che riconosca le differenze e le regoli, invece di andare verso un appiattimento globale.

Riassumendo, emergono una serie di antinomie. Nazione-civilizzazione, dove nazione è meramente un’organizzazione meccanica e civilizzazione è l’espressione dell’anima di un popolo, come può essere stato l’impero romano o quello Mughal, una volta organizzata in potere politico. Potere politico-cooperazione sociale, il primo nella Nazione ha come fine la crescita economica e l’arricchimento, l’altra è essa stessa lo scopo finale e naturale dell’uomo. Appiattimento-riconoscimento della diversità, i due diversi modi che nazione e dall’altra parte la società hanno di risolvere il problema della diversità tra popoli e culture, il primo in un negativo decostruttivo e l’altro in un positivo costruttivo.  

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